Il Mobbing è un attacco al lavoratore nel suo ruolo,
alla sua dignità e alla sua salute fisica e psichica. La parola mobbing deriva dal verbo
inglese to mob, che significa accerchiare, assalire e attaccare. Per
Leymann il Mobbing è “Una comunicazione ostile e non etica perpetrata in
maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un
singolo che, a causa del mobbing, è spinto in una posizione in cui è privo di
appoggio e di difesa e lì costretto per mezzo di continue attività mobbizzanti.
Queste azioni si verificano con una frequenza piuttosto alta (definizione
statistica: almeno una volta a settimana) e per un lungo periodo di tempo
(definizione statistica: una durata di almeno sei mesi). A causa dell’alta
frequenza e della lunga durata, il mobbing crea seri disagi psicologici,
psicosomatici e sociali.”
Il
mobbing consiste in comportamenti che tendono ad isolare
fisicamente il lavoratore (trasferimento in altra sede, blocco dei
flussi di informazione strumentali al lavoro, privazione di attrezzature quali
computer, telefono, posta ecc.); comportamenti che incidono sulle relazioni del
lavoratore all’interno dell’azienda (diffusione di dicerie sulla
persona,sulla famiglia e sugli amici, mancata convocazione a riunioni,
esclusione da conferenze e corsi di aggiornamento ecc.); comportamenti che pregiudicano
la reputazione del soggetto (ridicolizzazione, enfatizzazione
negativa dei difetti personali e degli oggetti usati dalla vittima, diffusione
di maldicenze ecc.); comportamenti
tendenti ad attribuire mansioni dequalificanti, umilianti, degradanti; comportamenti
che revocano e non concedono periodi richiesti di ferie o permessi vari; molestie
sessuali.
Non
si può etichettare come mobbing una singola occasione in cui siamo stati
criticati, magari anche duramente o in modo eccessivo, dal nostro capo, oppure
demansionati o dequalificati. Possiamo etichettare questi accadimenti come
maleducazione, villania, prepotenza, aggressività, abuso di potere. Nemmeno si
può usare questo termine per pochi episodi di questo tipo (anche se i vissuti
cognitivo-affettivi della “vittima” possono essere davvero molto
sgradevoli ed includere ansia, disagio, tensione, ecc.).
Gli attori del mobbing sono:
• Il mobber: la persona che attua
il mobbing ai danni di qualcuno. Il mobber gode di grande autostima, è
aggressivo, è psicologicamente forte, mira al miglioramento della sua posizione
professionale, non ha alcun timore di perdere il posto di lavoro, si sente
dalla parte del giusto. Molti credono in lui, è sempre presente sul posto di
lavoro, si sente superiore.
• Il mobbizzato: colui che subisce
il mobbing, quindi la vittima. Non ha più fiducia in se stesso, è sulla
difensiva, è psicologicamente debole, teme di venir sempre più demansionato,
dequalificato o di essere diventato meno competitivo, teme di perdere il posto
di lavoro, si sente vittima di un’ingiustizia. Molti pensano che soffre di
manie di persecuzione, è spesso assente per malattia, si sente inferiore.
•
Il side-mobber
o co-mobber: gli spettatori dell’azione psicosociale, che si svolge
sotto i loro occhi e, a volte, anche grazie alla loro complicità (lecchino,
ipocrita,ecc).
Perché
si possa parlare di Mobbing, ci deve essere da parte dell’aggressore un chiaro
scopo negativo nei confronti della vittima. Tutte le azioni compiute dal mobber
sono finalizzate a diversi scopi: allontanamento
della vittima dal mondo del lavoro non solo fisico ma anche psicologico, trasferimento
in un’altra sede, licenziamento, prepensionamento
o pensionamento, ricovero in
cliniche psichiatriche, in casi
più gravi all’omicidio del mobber e/o suicidio del mobbizzato.
Molteplici
sono le motivazioni che possono indurre una persona ad assumere il ruolo di
mobber : fare carriera a tutti i costi,
paura di perdere il proprio lavoro, posizione raggiunta, timore di essere superato da un collega,
invidia nei suoi confronti, semplice
antipatia, presunta autodifesa ( l’azione mobbizzante può
non venir riconosciuta come tale dal mobber stesso).
Nel
mobbing è ben chiaro e percepibile un dislivello di potere tra mobber e
mobbizzato, con la conseguenza che la vittima viene a trovarsi sempre in una
posizione di svantaggio.
Il mobbizzato
diviene vulnerabile psicologicamente e fisicamente. Comincia a rispondere con
reazioni psichiche, fisiche e comportamentali spesso inadeguate ad affrontare
la situazione. Spesso è incapace di fronteggiare il mobber e di reagire alle
sue azioni con modalità adeguate.
L’attacco
del mobber ha un obiettivo preciso, che può essere vario, ma comunque negativo
nei confronti della vittima. Ha il fattore tempo dalla sua parte: può preparare
e pianificare le sue azioni con largo anticipo e a lungo termine. La vittima,
viceversa, spesso è colta di sorpresa e lasciata senza il tempo e la
possibilità di prepararsi al conflitto. A ciò si aggiunge il fatto che la
vittima di Mobbing è sola, mentre l’aggressore riesce quasi sempre ad assicurarsi alleati e complici.
Conseguentemente la vittima subisce tutta la violenza e l’energia distruttiva
dello scontro, mentre l’aggressore può dividere le sue forze e quindi consuma
meno energia per portare avanti il conflitto. Inoltre per la vittima è molto
più stancante dover lottare contro molte persone invece di potersi concentrare
su un unico aggressore.
Il
Mobbing per definizione è un fenomeno che avviene solo sul posto di lavoro,
tuttavia è un disagio che può ripercuotersi anche gravemente in ogni aspetto della vita del mobbizzato,
primo tra tutti la vita privata e famigliare. In quest’ultimo caso possono
verificarsi conflitti e problemi anche dirompenti in famiglia che hanno come
radice i problemi sul posto di lavoro. Siamo di fronte a quel fenomeno
denominato DOPPIO-MOBBING: da una iniziale reazione di sostegno morale e
profonda comprensione della famiglia nei confronti del mobbizzato, si passa ad
un atteggiamento di disinteresse, dovuto ad un senso di stanchezza ed
esasperazione dei familiari di fronte al fatto che il loro congiunto mobbizzato
non fa che riversare continuamente su di loro la carica di negatività che
accumula sul lavoro. Questa progressiva indifferenza a lungo andare si
trasforma in vera e propria ostilità, quando la famiglia comincia a vedere
seriamente minacciata la propria integrità e serenità dalla vittima di Mobbing
e reagisce di conseguenza in una sorta di contrattacco (sei tu il vero
problema, non gli altri). Il mobbizzato si ritrova così doppiamente attaccato,
sul lavoro e in famiglia (da qui doppio-mobbing), coinvolto in una spirale di
negatività che può avere effetti anche drammatici come separazioni coniugali,
fughe da casa, profonde crisi personali, con esiti purtroppo anche tragici.
La
frequenza con cui si verificano le azioni ostili è un criterio molto
importante, perché mette in luce la differenza tra un singolo atto di ostilità
e un conflitto persistente e persecutorio come il Mobbing. Si può affermare che
il parametro della frequenza deve indicare una cadenza delle azioni ostili almeno
di alcune volte al mese con l’eccezione della situazione in cui è
presente una singola azione ostile, ma
le conseguenze che ne derivano sono assolutamente durature e, a lungo
termine, e la percezione che la persona ha di questa azione è tutt’altro che
passeggera.
Per
definire una situazione di disagio lavorativo come mobbing il periodo
vessatorio deve durare più di sei mesi.
Il limite dei 6 mesi di Leymann si può accettare con la precisazione però
che lo stesso può essere anche minore, se gli attacchi sono stati
particolarmente frequenti e pesanti. Si tratta di quei particolari casi
definiti Quick Mobbing (Ege, 2002). Il quick mobbing ha una
durata compresa tra i 3 e i 6 mesi, con frequenza quotidiana di attacchi
diretti contro più aspetti della vita privata e professionale della vittima
(rientranti in almeno 3 delle categorie di Leymann, 1996).
Gli
attacchi del mobber sono diretti a vari livelli della vita professionale,
sociale e intima della vittima. Leymann (1996) elaborò una lista di azioni
ostili suddivise in 5 categorie:
• 1. Attacchi ai contatti umani: limitazioni alle possibilità di espressione, sguardi e gesti
minacciosi.
• 2. Isolamento sistematico: trasferimento della vittima in un luogo
di lavoro isolato, comportamenti di evitamento.
• 3. Cambiamenti nelle mansioni : revoca delle mansioni da svolgere,
assegnazione di lavori senza senso, nocivi o al di sotto delle capacità della
vittima.
• 4. Attacchi contro la reputazione: calunnie, pettegolezzi, turpiloquio,
valutazione sbagliata o umiliante delle sue prestazioni.
• 5. Violenza e minacce di violenza: minacce o atti di violenza fisica.
La distinzione in categorie ci permette dunque di valutare quali e quanti settori sono stati colpiti dal Mobbing. Si può parlare di Mobbing se la vittima indica di aver subito situazioni riconducibili ad almeno due delle cinque categorie.
Film consigliato: Mi piace lavorare
Italia, 2003, Drammatico, durata 89'. Regia di Francesca Comencini, con Nicoletta Braschi, Camille Dugay Comencini, Stefano colace, Marian Serban
Dott.ssa Rita Manzo
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