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SALVE, SONO LA DOTT.SSA RITA MANZO, PSICOLOGA E PSICOTERAPEUTA SISTEMICO-RELAZIONALE. RICEVO TUTTI I GIORNI DAL LUNEDI AL VENERDI DALLE 8:30 ALLE 20:30 PREVIO APPUNTAMENTO TELEFONICO AL NUMERO 3333072104. LO STUDIO SI TROVA A CALVI RISORTA (CE), IN VIA GUGLIELMO MARCONI N.30. SI HA LA POSSIBILITA' DI USUFRUIRE DELLA TERAPIA PSICOLOGICA ANCHE IN MODALITA' ONLINE. SERVIZI OFFERTI: PSICOTERAPIA INDIVIDUALE, DI COPPIA E FAMILIARE, CONSULENZA E SOSTEGNO PSICOLOGICO.

domenica 30 dicembre 2012

BUON ANNO 2013!


ADOLESCENZA E INNAMORAMENTO: il rapporto tra genitori e figli


L’evento che segna l’inizio dell’adolescenza è lo sviluppo puberale. I cambiamenti fisici e corporei che esso comporta sono irreversibili e testimoniano la fine di una condizione, quella di bambino, e l’inizio di nuove modalità di relazionarsi sul piano affettivo.
Nel periodo adolescenziale si completa il processo dell’individuazione affettiva, attraverso il quale i ragazzi spostano i loro investimenti affettivi fuori dalla famiglia d’origine.
L’innamoramento e l’amore favoriscono, in questo periodo di vita, l’approfondimento delle conoscenze su se stessi e sugli altri, il processo di autonomia dai genitori e lo sviluppo delle proprie potenzialità migliorando le relazioni con l’altro sesso.
Per l’adolescente l’esperienza dell’innamoramento rappresenta la conquista di un piano affettivo evoluto e una sorta di rivalsa rispetto a quella immagine di bambino che desidera togliersi di dosso, corrisponde al desiderio di essere presi sul serio dagli adulti in generale e dai genitori in particolare.
Gli amori adolescenziali corrispondono a legami spesso esclusivi, fusionali, assolutizzanti, dove ci si dà totalmente per l’altro e non c’è spazio per l’“io” ma solo per il “noi”, e non sembra esserci spazio né per l’autonomia dell’altro, né (spesso) per impegni e doveri scolastici, né per le relazioni familiari, bruscamente poste in secondo piano.
I ragazzi che durante l’adolescenza vivono i loro primi innamoramenti in questo modo spesso vivono con altrettanta tragicità la loro eventuale rottura fino a rifiutare qualunque altra forma di contatto con la realtà: si smette di mangiare, ci si rifiuta di uscire o di vedere gli amici, ci si disinteressa totalmente degli impegni scolastici.
Gli adulti spesso sottovalutano i sentimenti degli adolescenti, che invece vivono con grande serietà e profonda intensità i loro primi amori, preparandosi così a vivere quelli successivi. Infatti sono i primi amori carichi di entusiasmo e di speranze a influenzare il modo di vivere l’amore e la capacità di formare una coppia stabile in età adulta.
L’innamoramento nell’adolescenza è un passaggio delicato e difficile sia per gli adolescenti che per i genitori. Per i primi è una tappa fondamentale di quel processo di individuazione che conduce verso la costruzione di una propria identità.
Per i genitori, invece, l’innamoramento dei figli adolescenti è un banco di prova relativo alle proprie emozioni, ma allo stesso tempo è un’ulteriore  riconferma del fatto che i loro figli stanno crescendo e stanno cominciando a cercare al di fuori della famiglia altri affetti.
Come genitori si può, comprensibilmente, avvertire molta difficoltà a rapportarsi a questi ragazzi improvvisamente divenuti “distanti”, “assenti” totalmente assorbiti dall’idillio dei loro primi amori e dai drammi delle conseguenti rotture. Non di rado, guidati dall’apprensione e dallo sgomento di non riconoscere più il proprio figlio, si può cominciare a guardare con sospetto al nuovo compagno/compagna che ha catalizzato tutte le sue attenzioni ed energie; spesso molti genitori si sorprendono in comportamenti eccessivamente “controllanti” o a fare scenate che aumentano soltanto le conflittualità e le incomprensioni.
Tuttavia va considerato che, quella delle prime “cotte”, degli amori romantici o esclusivi è una caratteristica tipica dell’adolescenza e, come tale, rappresenta quindi, per lo più, soltanto una fase di transizione e non un tratto stabile del carattere del ragazzo o della ragazza. 
La non ancora completa maturità sul piano fisico ed emotivo fa sì che si cerchi, in questi primi legami con l’altro sesso, più che altro un completamento di sé e della propria identità ancora incerta e non definita e, insieme a questo, un tipo di relazione affettiva alternativa a quella che si ha con i propri genitori tipica dell’infanzia. L’unione è quindi spesso idealizzata e assolutizzata proprio perché rispondente al bisogno di definire in qualche modo e completare il proprio sé, a trovare nell’altro quelle parti di sé stessi di cui ci si sente carenti, non in grado di sviluppare autonomamente. Per gli stessi motivi, anche le rotture di queste infatuazioni più o meno passeggere possono essere connotate da toni altamente drammatici e non congruenti col piano di realtà.
Alla luce di tutto questo, l’atteggiamento più utile da parte di un genitore è quello di riconoscere e rispettare il diritto del proprio figlio, in quanto adolescente, a vivere questa particolare fase della sua crescita piuttosto che subissarlo di domande inquisitorie, proibizioni o consigli non richiesti o massime di vita su come è più o meno giusto comportarsi in amore.
Questo, tuttavia, non esclude che un genitore intervenga di tanto in tanto per riportare il proprio figlio coi “piedi per terra” restituendogli sì il rispetto, ma anche la responsabilità del proprio comportamento  e delle conseguenze che questo può avere.
Gli adolescenti per poter arrivare a definire se stessi hanno bisogno sia di potersi sperimentare, immergersi in loro stessi e giocare molte “parti”, ma anche di scontrarsi col senso del limite e con le richieste che la realtà esterna gli pone.
C’è da dire, infine, che l'adolescente, innamorato o no, mette in crisi il ruolo dei genitori, che devono passare dall'essere e sentirsi genitori di un bambino a essere e sentirsi genitori di un ragazzino e poi di un quasi adulto. Ma mette in crisi i genitori anche più profondamente, nella loro stessa identità di persone che avanzano verso un nuovo stadio della loro vita. Si impongono dei cambiamenti nel loro mondo interno oltre che nella famiglia. Si impone che essi stessi facciano nuovi passi maturativi: da giovani genitori di bambini, occorre che imparino a vedersi un po' meno giovani genitori di ragazzi che ormai possono essere alti quanto loro o di più, belli quanto loro o di più, intelligenti quanto loro o di più di loro e così via.
Anche i genitori, pertanto, possono sentirsi confusi, vuoti, soli. E lungo la via che li condurrà a una ridefinizione della loro identità di genitori e di persone possono a loro volta provare momenti di disequilibrio prima di trovare nuovi adattamenti. 

                                                          Dott.ssa Rita Manzo

sabato 29 dicembre 2012

ATTACCHI DI PANICO


COSA SONO GLI ATTACCHI DI PANICO
Gli attacchi di panico sono episodi di improvvisa ed intensa paura o di un rapido aumento dell'ansia normalmente presente
Sono accompagnati da sintomi somatici e cognitivi, quali palpitazioni, sudorazione improvvisa, tremore, sensazione di soffocamento, dolore al petto, nausea, paura di morire o di impazzire, brividi o vampate di calore. Il panico è vissuto come un’esperienza terribile, spesso improvvisa, inaspettata apparentemente non ricollegabile a nessuna causa precisa. Il primo attacco di panico è generalmente inaspettato, cioè si manifesta "a ciel sereno", per cui il soggetto si spaventa enormemente e, spesso, ricorre al pronto soccorso; successivamente diventano più prevedibili.
In genere la paura di un nuovo attacco diventa immediatamente forte e dominante.
L’evitamento di tutte le situazioni potenzialmente ansiogene diviene la modalità prevalente ed il paziente diviene schiavo dei suoi attacchi di panico, costringendo spesso tutti i familiari ad adattarsi di conseguenza, a non lasciarlo mai solo e ad accompagnarlo ovunque.
Di solito gli attacchi di panico sono più frequenti in periodi stressanti. Alcuni eventi di vita possono infatti fungere da fattori precipitanti, anche se non indicono necessariamente un attacco di panico. Tra gli eventi di vita precipitanti riferiti più comunemente troviamo la separazione, la perdita o la malattia di una persona significativa, l’essere vittima di una qualche forma di violenza, problemi finanziari e lavorativi.

I SINTOMI DELL’ATTACCO DI PANICO
Spesso gli attacchi di panico si manifestano quando ci si trova lontani da casa, ma possono insorgere in qualsiasi luogo e momento. I sintomi dell’attacco di panico si sviluppano improvvisamente e raggiungono il picco massimo di intensità entro 10 minuti. La maggior parte degli attacchi di panico si esaurisce  in 20-30 minuti e raramente dura più di un’ora.
I sintomi che possono caratterizzare l’attacco di panico sono:
Palpitazioni/tachicardia (battiti irregolari, pesanti, agitazione nel petto, sentirsi il battito in gola)
Paura di perdere il controllo o di impazzire (ad esempio, la paura di fare qualcosa di imbarazzante in pubblico o la paura di scappare quando colpisce il panico o di perdere la calma)
- Terrore, la sensazione che qualcosa di incredibilmente grave e orribile possa accadere e la persona non può far nulla per evitarlo
Sensazioni di sbandamento, instabilità (capogiri e vertigini)
Tremori fini o a grandi scosse
Sudorazione
Sensazione di soffocamento
Dolore o fastidio al petto
Sensazioni di derealizzazione (percezione del mondo esterno come strano e irreale, sensazioni di stordimento e distacco) e depersonalizzazione (alterata percezione di sé caratterizzata da sensazione di distacco o estraneità dai propri processi di pensiero o dal corpo)
Brividi
Vampate di calore
Parestesie (sensazioni di intorpidimento o formicolio)
Nausea o disturbi addominali
Sensazione di soffocamento
Sensazione di asfissia (stretta o nodo alla gola)

La frequenza e la gravità degli attacchi di panico varia ampiamente nel corso del tempo e delle circostanze. Ad esempio, alcuni individui presentano attacchi moderatamente frequenti (ad es., una volta a settimana), che si manifestano regolarmente per mesi. Altri riferiscono brevi serie di attacchi più frequenti (per es., quotidianamente per una settimana), intervallate da settimane o mesi senza attacchi o con attacchi meno frequenti (per es., due ogni mese) per molti anni. 
Vi sono anche i cosiddetti attacchi paucisintomatici, molto comuni negli individui con Disturbo di Panico, che sono degli attacchi in cui si manifestano soltanto una parte dei sintomi del panico, senza esplodere in un vero attacco. La maggior parte degli individui con attacchi paucisintomatici, tuttavia, hanno avuto attacchi di panico completi in qualche momento nel corso del disturbo.
Durante un attacco di panico, pensieri catastrofici automatici e incontrollati riempiono la mente della persona, che ha quindi difficoltà a pensare chiaramente e teme che tali sintomi siano veramente pericolosi. Alcuni temono che gli attacchi indichino la presenza di una malattia non diagnosticata, pericolosa per la vita (es., cardiopatia, epilessia). Nonostante i ripetuti esami medici e la rassicurazione, possono rimanere impauriti e convinti di essere fisicamente vulnerabili. Altri temono che gli attacchi di panico indichino che stanno "impazzendo" o perdendo il controllo, o che sono emotivamente deboli e instabili.
La persona che soffre di attacchi di panico sviluppa un'intensa paura alla sola idea di avere un altro attacco. Questa paura - chiamata ansia anticipatoria o paura della paura - può condizionare in modo evidente lo stile di vita compromettendo lo svolgimento delle normali attività quotidiane (lavoro, sport, vita sociale).
Chi soffre di attacchi di panico può sviluppare timori irrazionali, ovvero fobie nei confronti delle situazioni nelle quali l'attacco si è verificato. Per esempio, chi ha avuto un attacco di panico mentre guidava, può avere paura di trovarsi nuovamente al volante, anche solo per recarsi al negozio vicino a casa.
Le persone che sviluppano queste fobie tenderanno ad evitare le situazioni che potrebbero scatenare altri attacchi. La conseguenza è una minore libertà nella vita personale, tensioni e conflitti nelle relazioni sociali. Questa condizione viene denominata Agorafobia, cioè l'ansia relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dai quali può essere difficile o imbarazzante allontanarsi o nei quali può non essere disponibile aiuto in caso di attacco di panico o sintomi tipo panico.
Anche il sonno può essere disturbato dagli attacchi che possono sopraggiungere durante la notte provocando risvegli angoscianti. Chi ha sperimentato il panico notturno può arrivare a temere di andare a dormire rischiando di andare incontro ad un progressivo esaurimento fisico.

CAUSE DEGLI ATTACCHI DI PANICO
Nonostante questo disturbo si presenti più frequentemente nei familiari di persone che ne hanno sofferto, non si può assolutamente parlare di ereditarietà, ma semmai di stile di vita e di schemi di pensiero comuni a più membri di una stessa famiglia. Eventi lievemente o fortemente stressanti (dalla preparazione di un esame scolastico alla nascita del primo figlio, dal cambio di lavoro a problemi finanziari, dal matrimonio alla separazione, dalla perdita di una persona significativa ad una malattia) sono da considerarsi fattori precipitanti anche se non provocano necessariamente l’attacco. Inoltre la qualità della vita, legata a numerosi fattori tra i quali il tipo di lavorol'ambiente sociale, la città in cui si vive, etc. possono influenzare l’incidenza del disturbo.

LA CURA DEGLI ATTACCHI DI PANICO
Esistono diverse cure specifiche per gli attacchi di panico, ma bisogna primariamente stare attenti a non confonderli erroneamente con cardiopatie o altre malattie più gravi, con le quali condividono alcuni sintomi, onde evitare di aggravare la situazione. Vale anche il discorso opposto: gli attacchi di panico costituiscono un problema serio e sarebbe imprudente sottovalutarli senza intervenire in alcun modo. Fin troppo spesso gli attacchi di panico sono curati solo con farmaci. Questo equivale a dire che questi attacchi di panico sono lasciati non curati. Sempre più persone si sono persuase che il loro male non può essere guarito e che gli attacchi di panico continueranno a tormentarli per sempre. 
Nonostante spesso ci si senta persi e senza via di uscita, è importante sottolineare che chi decide di intraprendere una psicoterapia ha spesso degli ottimi risultati.
In particolare la psicoterapia sistemica dell'attacco di panico guida il paziente ad individuare la situazione minacciosa alla quale egli, inconsapevolmente, reagisce. Nell'esperienza terapeutica con i pazienti, si è riscontrato che spesso il panico è legato a situazioni che implicano un eccessivo allontanamento da una persona amata, oppure, in casi opposti, alla paura per la perdita della propria libertà. Trasferimenti abitativi, matrimoni, nascita dei figli, promozioni lavorative che implicano spostamenti... sono situazioni tipicamente connesse all'insorgenza del disturbo proprio perché in qualche modo implicano un mutamento nei rapporti interpersonali, aumentando la distanza dai propri cari o, al contrario, riducendo drasticamente la libertà. Obiettivo della terapia sistemica è permettere al paziente di ricollocarsi in modo armonico entro il proprio sistema di relazioni, abbassando il livello di ansia e disinnescando quindi il panico.                                                            
Se soffri di attacchi di panico ed hai bisogno di una consulenza puoi contattarmi al numero: 3333072104

Dott.ssa Rita Manzo
Psicologa, Psicoterapeuta Sistemico-Relazionale
Santa Maria Capua Vetere (CE), Calvi Risorta (CE)

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domenica 2 dicembre 2012

LA MORTE DEL CONIUGE


La morte del proprio compagno di vita, sia quando giunge all'improvviso sia quando è attesa da tempo, è una delle perdite più dolorose e dense di conseguenze che si possano sperimentare. La propria esistenza cambia completamente: nulla è come prima, ci si sente persi, impreparati e incapaci di cavarsela da soli, fragili, disorientati, disperati e spesso spaventati da ciò che avverrà successivamente. 
Ritrovarsi senza la persona con cui si è trascorsa una parte dell'esistenza, scambiato un sostegno affettivo, emotivo e fisico, condiviso esperienze, creato una famiglia, spesso fatto nascere dei figli, obbliga ad affrontare emozioni estremamente dolorose, a sostenere numerosi e inevitabili cambiamenti e a rinunciare alle speranze e alle aspettative per ciò che sarebbe stata la vita in compagnia della persona che si è perduta.
Non ci sono regole su come ci si dovrebbe sentire. Non esiste un modo giusto o sbagliato di piangere. Spesso chi resta può sentirsi in colpa per essere ancora vivo o arrabbiato con l’altro coniuge per averlo lasciato, oppure può provare invidia e rabbia verso chi non è toccato dal dolore del lutto o verso persone poco sensibili e attente nei propri confronti. Tali sentimenti sono normali. 
In seguito ad una perdita così grande si può provare un dolore sia fisico che emotivo. Le persone che sono in lutto spesso piangono facilmente e possono avere disturbi del sonno, scarso interesse per il cibo, problemi di concentrazione, difficoltà nel prendere decisioni.
In genere si vive il lutto in silenzio e in solitudine e può essere difficile manifestare i propri sentimenti di tristezza e di dolore di fronte agli altri membri della famiglia, anche loro in lutto.
Con l'inizio della vedovanza,inoltre, da un punto di vista puramente pratico, si devono affrontare una serie di compiti nuovi ed è normale sentirsi sopraffatti dal dover far fronte a tanti impegni urgenti, svolgere nuovi ruoli, ritrovandosi soli e senza l'abituale sostegno. Ad esempio è terribilmente gravoso per chi rimane diventare l'unica fonte di reddito per la famiglia, doversi occupare di questioni finanziarie o della gestione della casa, se non lo si era mai fatto in precedenza.
Molto spesso, specie se il coniuge scomparso era giovane, ci si trova a dover far fronte non solo alla propria sofferenza ma anche a quella dei figli.
La loro presenza è un conforto e una risorsa, ma ci si può sentire incapaci di cogliere pienamente le loro difficoltà, dedicare loro tutto il tempo di cui necessitano, sostenerli e provvedere ai loro bisogni. Ci si sente schiacciati dalla responsabilità di crescere dei figli da soli.
Le persone più anziane, che si ritrovano a vivere da sole, possono sperimentare un senso di grande fragilità e isolamento ed è anche comune che si sentano in pericolo e spaventate. 
In età avanzata diventa più difficile incontrare nuove persone, allacciare nuovi rapporti di amicizia e aprirsi agli altri. Sarebbe invece importante cercare di recuperare amicizie e contatti con i familiari in precedenza trascurati e con i vicini i casa, frequentare luoghi in cui è possibile incontrare persone, fare nuove conoscenze ed avere nuove opportunità.
Con la morte del coniuge si creano molti vuoti nella vita di chi resta, che col tempo si può cercare di colmare. Ciò non significa dimenticare la persona perduta. Alcune persone possono sentirsi meglio prima di quanto si aspettano. Altre hanno bisogno di più tempo per elaborare il lutto. Col passare del tempo, si può ancora sentire la perdita del coniuge, ma per la maggior parte delle persone, l'intenso dolore diminuirà. 
A questo punto è possibile cominciare a pensare di intraprendere cose nuove e allacciare nuovi legami, ricominciare a godere della vita, pur sentendo ancora viva dentro la mancanza della persona amata; inoltre il tempo necessario per sentirsi meglio non è una misura per valutare l'amore per la persona perduta.
Con il tempo la vita pur diversa da prima, torna a essere sopportabile e poi anche godibile.

Riuscire a convivere con il dolore e a superare la sofferenza di un lutto così grave come quello della perdita del coniuge, richiede tempo, energia e il desiderio di stare meglio.
È importante ricordarsi che ogni persona ha bisogno di un suo tempo specifico per riprendersi, diverso da quello di altre persone.
Tuttavia è bene cercare di non isolarsi dagli altri e dalla vita in generale.
Se il pensiero di reagire sembra inaccettabile, bisogna cercare di andare avanti al meglio possibile.
E’ fondamentale non rifuggire e contrastare le emozioni che si vivono, ma prenderle in considerazione per riconoscerle e renderle dicibili prima a se stessi e poi agli altri: in questo modo diventa pian piano possibile mutare il rapporto con le proprie emozioni e non esserne totalmente invasi.
È inoltre importante cercare di non trascurare la normale quotidianità come ad esempio preparare i pasti, riposare, seguire i figli, riprendere il proprio lavoro, vedere qualche persona che può condividere e comprendere la fatica e il dolore che si sta vivendo.
Nei primi tempi del lutto è normale e frequente che le persone sentano di non aver più voglia di vivere, che non riescano a riprendere le normali attività quotidiane, che si sentano avvilite, spaventate e depresse e talvolta, può capitare, che pensino persino al suicidio.
Per alcune persone, il dolore causato dalla perdita può andare avanti così a lungo da diventare malsano. Questo può essere un segno di grave depressione e ansia. Se questi vissuti permangono nel tempo ed impediscono di portare avanti le normali attività della vita quotidiana, è importante rivolgersi ad uno psicologo.
                                                     Dott.ssa Rita Manzo

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sabato 13 ottobre 2012

IL LUTTO PERINATALE: Perdere un figlio vicino alla nascita

Il lutto perinatale è per i genitori un’esperienza di intenso dolore e sofferenza per la perdita di un figlio atteso e perso durante la gravidanza o al momento del parto o nel periodo immediatamente vicino alla nascita. E’ un evento che, soprattutto nei primi tempi, lascia nella coppia un senso di vuoto e un dolore profondo che sembra impossibile da superare. 
Purtroppo però ancora oggi nella nostra società non sempre questo dolore viene riconosciuto , non ci sono rituali appropriati, non si fanno condoglianze e c’è la tendenza a voler consolare la coppia minimizzando l’accaduto con frasi inopportune della serie “Non preoccupatevi ne farete presto altri!”, che non corrispondono per nulla ai vissuti ed ai bisogni dei genitoriLa morte perinatale può avere sui genitori delle conseguenze sia sul benessere fisico che psicologico e rappresenta una vera e propria esperienza luttuosa.
La reazione alla perdita è strettamente correlata con il tempo di gestazione, con il livello di attaccamento al momento della perdita, con il modo in cui è avvenuta la morte e con le perdite subite in precedenza. 
Il vissuto di maternità e paternità si modifica col trascorrere del tempo, rafforzando di conseguenza la profondità del legame fra i genitori ed il bambino, costruendo ed alimentando sempre più quelle che sono le attese riversate sulla nuova vita. Più aumenta il tempo di gestazione e più i genitori cominciano inevitabilmente a fantasticare sul futuro del loro bambino, creando una serie di aspettative su come sarà. 
Dunque scoprire di aver perso il proprio bambino a poche settimane, giorni o istanti dalla nascita può essere emotivamente devastante. La  mamma che perde un figlio viene pervasa da molte emozioni quali disorientamento, dolore, senso di vuoto, tristezza, collera, infinito senso di solitudine e di fallimento, incapacità di pensare al futuro, di reagire. 
Queste sono delle reazioni normali, di norma perdurano per alcuni mesi e potrebbero riapparire con intermittenza nel corso del tempo.
Ci sono donne che non si prendono il tempo necessario per elaborare adeguatamente la perdita subita tentando subito una nuova gravidanza, nonostante la mancata elaborazione del lutto possa proiettare ansie e vissuti sul nuovo nascituro, che rischia di diventare un sostituto del bimbo perso.

Come superare il trauma del lutto perinatale?
È fondamentale accogliere il dolore che si sta provando e prendersi tutto il tempo necessario per rielaborare il lutto che si è vissuto, senza avere fretta. 
Il dolore è un passaggio obbligato e direi necessario ai fini della guarigione, c’è bisogno di tempo per rimarginare le ferite
Inoltre è fondamentale non chiudersi in se stessi e condividere il dolore con le persone vicine. 
L’ideale sarebbe confrontarsi con chi ha già vissuto la stessa esperienza, in modo da poter esternare liberamente i propri sentimenti e le proprie paure.
E' molto importante che la coppia rimanga unita durante i mesi successivi; comunicazione, comprensione e tolleranza sono ingredienti indispensabili per affrontare questa forte esperienza. 

E’ importante creare degli spazi in cui poter ricordare il piccolo, anche semplicemente conservando alcune fotografie, o tenendo un diario con i ricordi, le immagini dell'ecografia, le emozioni per il piccolo, soprattutto se non si ha avuto la possibilità di poterlo vedere o toccare. Sarebbe deleterio per la coppia chiudersi nel proprio dolore, evitare di parlare dei propri sentimenti, delle sensazioni e stati d’animo che seguono l’evento luttuoso, oppure cercare di nascondere gli oggetti che potrebbero ricordare il piccolo, negando quindi la sua esistenza. 
In genere è necessario far passare un periodo di tempo adeguato (almeno 6-12 mesi) prima di riprovare ad avere una nuova gravidanza in quanto se non si lascia passare un ragionevole periodo di tempo la mamma rischierà di vivere con distacco emotivo la nuova gravidanza nella paura che anche questa possa non andare a buon fine, oppure potrebbe sentire forte il senso di colpa per la paura di dimenticare o rinnegare in questo modo il precedente bambino. 
Un’adeguata elaborazione del lutto consentirà ai genitori di pensare al bimbo perduto non più solo con dolore ma con tenerezza e nostalgia ed affrontare una nuova gravidanza in serenità, senza sensi di colpa e col giusto coinvolgimento emotivo. Nei casi in cui il dolore sia troppo grande ed abbia delle ripercussioni su più aspetti della vita di coppia, può essere di grande aiuto un sostegno  psicologico per favorire un’adeguata elaborazione del lutto ed una sana riapertura alla vita.
                                     Dott.ssa Rita Manzo
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sabato 6 ottobre 2012

DERMATILLOMANIA: Aiuto non riesco a smettere di schiacciarmi i brufoli!


La dermatillomania, nota anche come  “compulsive skin-picking” (CSP) è un disturbo del controllo degli impulsi caratterizzato dal bisogno di stuzzicarsi, toccarsi, strofinarsi, tormentarsi, graffiarsi, o incidersi la pelle del viso o del corpo, spesso nel tentativo di eliminare piccole irregolarità o imperfezioni cutanee reali o immaginarie (ad es. brufoli, punti neri, croste, pelle morta, piaghe, ma anche lentiggini e nei). In alcuni casi il paziente tormenta una zona cutanea perfettamente normale dove intravede un difetto che nessun altro può osservare. L'azione di stuzzicasi la pelle può essere eseguita con dita, unghie, pinzette, denti, aghi, o con qualsiasi altro strumento.
Il viso è solitamente la zona più colpita, anche se tutte le altre parti del corpo possono essere coinvolte, in particolare le zone facilmente raggiungibili dal soggetto, come braccia, mani, cuoio capelluto, gambe, piedi ecc. .
La dermatillomania può esordire a qualsiasi età, dalla pre-adolescenza alla vecchiaia, con una maggiore incidenza nelle donne. 
Può durare mesi o anni e può avere una maggiore o minore intensità.
Alcuni soggetti riferiscono l’esordio durante o subito dopo un evento molto stressante accaduto nella loro vita.
I precursori emotivi della dermatillomania sono l’ansia, la paura, l’eccitazione o la noia. 
Di solito un episodio di dermatillomania è caratterizzato da un aumento della tensione emotiva, talvolta accompagnata da prurito, formicolio, bruciore, e da una incontrollabile urgenza di stuzzicarsi la pelle.
Spesso il comportamento sintomatico viene messo in atto in un stato di trance ed ha un effetto auto-calmante. 
Nei casi più gravi il soggetto può trascorrere diverse ore al giorno davanti allo specchio ad esaminare da vicino il suo volto alla ricerca di imperfezioni, ad effettuare operazioni legate al tentativo di rimuoverle per raggiungere la perfezione. 
Il problema è che dopo aver torturato la pelle per un certo periodo di tempo il soggetto ha un aspetto peggiore rispetto a quello che aveva in precedenza. Nonostante in seguito al comportamento sintomatico il soggetto manifesti un sollievo dalla tensione, questo comportamento è quasi sempre seguito da un senso di colpa, vergogna e rammarico per i danni arrecati alla pelle. 
Questa pratica che il soggetto mette in atto, spesso quotidianamente, diventa patologica quando assume il carattere di una compulsione, cioè quando il soggetto non riesce ad esimersi dal mettere in atto il comportamento sintomatico, quando è ripetuto nel tempo, con una intensità sempre maggiore, e dunque quando inizia a causare alterazioni cutanee evidenti e/o permanenti quali cicatrici, ecchimosi, sanguinamenti e nei casi più gravi importanti danni ai tessuti e vere e proprie deturpazioni. 
In questi casi la dermatillomania ha anche delle conseguenze sociali, relazionali, lavorative. 
Solitamente i soggetti che hanno questo disturbo tentano di camuffare il danno causato alla loro pelle usando il trucco o indossando abiti che coprano i segni, ma se questa operazione non risulta sufficiente essi possono cominciare ad evitare attività come andare in piscina, in palestra, uscire con gli amici, per la vergogna di mostrare i segni causati alla pelle, oppure accumulare ritardi o assenza al lavoro. In questi casi in cui il disturbo ha delle ripercussioni sulla vita quotidiana, è opportuno chiedere un aiuto psicologico per sviluppare un programma personalizzato di cura, andando ad individuare i fattori specifici, interiori o situazionali, scatenanti il comportamento sintomatico, per poi aiutare il paziente ad imparare a riconoscere i segnali, a trovare strategie alternative di fronteggiamento e prevenire i comportamenti distruttivi prima ancora di metterli in atto.
                                                            
                                                     Dott.ssa Rita Manzo


mercoledì 29 agosto 2012

GERASCOFOBIA – PAURA DI INVECCHIARE

La gerascofobia è definita come la paura persistente, anormale e ingiustificata di invecchiare e di solito porta una grande infelicità a chi la vive. 
Ci sono persone che non accettano con facilità  il passare del tempo vivendo ogni compleanno come un tormento. Ciò accade soprattutto dopo una certa età, generalmente dopo i 50. 
La gerascofobia non si presenta in qualsiasi soggetto, ma ha a che fare con l'evoluzione della persona che ne soffre, con la sua storia di vita. 
I fattori direttamente associati a questo disordine sono: l'esistenza di altre fobie, timori o ansie, la mancanza di realizzazione personale o di adempimento degli obiettivi di vita e le circostanze socio-economiche 
Le persone che manifestano questo disturbo sono contraddistinte da tratti di personalità  ansiosi, isterici o narcisisti e spesso danno una eccessiva enfasi ai beni materiali. Temono il futuro, non riescono a tollerare l’idea di dover far fronte alla perdita della bellezza, della giovinezza, del potere, della seduzione e della ricchezza, tutto ciò rappresenta per loro una fonte di angoscia e di sofferenza. Ma la paura di invecchiare non è legata solo all'estetica, l'angoscia è generalizzabile alla perdita delle capacità intellettuali e fisiche in generale. 
L'età porta inevitabilmente alcune perdite, dal punto di vista dell'immagine, ma anche per il suo potere sociale, relazionale e intellettuale.  
La gerascofobia genera l’ansia di essere lasciati soli in vecchiaia, senza risorse e incapaci di prendersi cura di se stessi  e di dover fare affidamento su altri per svolgere le normali funzioni quotidiane. Si teme anche di perdere un ruolo attivo nella società. 
Come altre fobie, questo disturbo può portare a sintomi concreti, come la mancanza di respiro, vertigini, sudorazione eccessiva, secchezza delle fauci, tremore, palpitazioni, difficoltà a pensare o parlare in modo chiaro, depersonalizzazione (sensazione di essere fuori dal mondo) o attacco di panico. 
Questa è una fobia che può interessare le persone che sono in buona salute dal punto di vista fisico, finanziario, ecc. 
Sono persone in grado di spendere fortune per i prodotti senza il quale "non si può vivere", praticano esercizio fisico eccessivo e prestano un’attenzione abnorme alle regole alimentari, alla scelta del cibo e alle sue caratteristiche, tendono a contrastare i segni del tempo tingendosi i capelli, ricorrendo alla chirurgia estetica, a creme e trucchi costosi. 
Tendono ad instaurare relazioni d'amore con persone molto più giovani, perché in qualche modo, la capacità di conquistare qualcuno significativamente più giovane dà loro un senso di potere. 
Per alcuni questa esigenza viene compensata adottando un comportamento tipico di una persona più giovane, come l'acquisto di una moto dopo i 50 anni, che permette al soggetto di auto-ingannarsi sulla sua vera età e quindi di ridurre i livelli di stress e ansia.
Le persone che percepiscono la vecchiaia come una fase da evitare tendono ad ignorare gli aspetti positivi di questo passaggio e a focalizzarsi su quelli negativi. 
La spiritualità, la trasmissione di conoscenze ed esperienze alle giovani generazioni o la capacità di gestire il tempo più agevolmente sono elementi positivi che non vengono presi in considerazione da chi presenta tale fobia. Può essere utile in questi soggetti, al fine di un invecchiamento emotivamente sano, mantenersi attivi a livello sociale ed intellettuale. 
Se questo disturbo perdura nel tempo, o è così intenso da non permetterne l’elaborazione, rivolgersi ad un psicologo può essere una soluzione efficace per un’adeguata gestione del problema.
                                              Tutto è Vanità, illustrazione di Charles Allan Gilbert.                                   

          Dott.ssa Rita manzo             

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