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SALVE, SONO LA DOTT.SSA RITA MANZO, PSICOLOGA E PSICOTERAPEUTA SISTEMICO-RELAZIONALE. RICEVO TUTTI I GIORNI DAL LUNEDI AL VENERDI DALLE 8:30 ALLE 20:30 PREVIO APPUNTAMENTO TELEFONICO AL NUMERO 3333072104. LO STUDIO SI TROVA A CALVI RISORTA (CE), IN VIA GUGLIELMO MARCONI N.30. SI HA LA POSSIBILITA' DI USUFRUIRE DELLA TERAPIA PSICOLOGICA ANCHE IN MODALITA' ONLINE. SERVIZI OFFERTI: PSICOTERAPIA INDIVIDUALE, DI COPPIA E FAMILIARE, CONSULENZA E SOSTEGNO PSICOLOGICO.

mercoledì 9 ottobre 2013

DISTURBO DI SOMATIZZAZIONE

Il disturbo di somatizzazione è una sindrome cronica che si manifesta con sintomi somatici (cioè fisici) che non hanno cause di tipo organico, ma che sono associati ad un disagio psicologico e sociale e sono comunque tali da indurre il paziente ad assumere farmaci, a consultare medici e ad alterare il proprio stile di vita.
Il termine “somatizzazione”, dunque,  indica il processo che porta ad esprimere un disagio psicologico mediante la comparsa di sintomi fisici, in assenza di patologie organiche.

I criteri diagnostici per il Disturbo di Somatizzazione secondo il DSM-IV-TR (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fourth Edition) sono i seguenti:
  1. Una storia, cominciata prima dei 30 anni, di molteplici lamentele fisiche che si manifestano lungo un periodo di numerosi anni, e che conducono alla ricerca di trattamento o portano a significative menomazioni nel funzionamento sociale, lavorativo, o in altre aree importanti.
  2. Tutti i criteri seguenti debbono essere riscontrabili, nel senso che i singoli sintomi debbono comparire in qualche momento nel corso del disturbo:
    1. quattro sintomi dolorosi: una storia di dolore riferita ad almeno quattro localizzazioni o funzioni (per es. testa, addome, schiena, articolazioni, arti, torace, retto, dolori mestruali, dolore nel rapporto sessuale o durante la minzione);
    2. due sintomi gastro-intestinali: una storia di almeno due sintomi gastro-intestinali in aggiunta al dolore (per es. nausea, meteorismo, vomito al di fuori della gravidanza, diarrea, oppure intolleranza a numerosi cibi diversi);
    3. un sintomo sessuale: una storia di almeno un sintomo sessuale o riproduttivo in aggiunta al dolore (per es. indifferenza sessuale, disfunzioni dell’erezione o dell’eiaculazione, cicli mestruali irregolari, eccessivo sanguinamento mestruale, vomito durante la gravidanza);
    4. un sintomo pseudo-neurologico: una storia di almeno un sintomo o deficit che fa pensare ad una condizione neurologica non limitata al dolore (sintomi di conversione, come alterazioni della coordinazione o dell’equilibrio, paralisi o ipostenia localizzate, difficoltà a deglutire o nodo alla gola, mancamenti, afonia, ritenzione urinaria, allucinazioni, perdita della sensibilità tattile o dolorifica, diplopia, cecità, sordità, convulsioni, sintomi dissociativi come amnesia, oppure perdita di coscienza con modalità diverse dai mancamenti).
  3. L’uno o l’altro di 1. e 2.:
    1. dopo le appropriate indagini, ciascuno dei sintomi del Criterio B non può essere esaurientemente spiegato con una condizione medica generale conosciuta o con gli effetti diretti di una sostanza (per es. una droga di abuso, o un medicinale);
    2. quando vi è una condizione medica generale collegata, le lamentele fisiche o la menomazione sociale o lavorativa che ne deriva risultano sproporzionate rispetto a quanto ci si dovrebbe aspettare dalla storia, dall’esame fisico e dai reperti di laboratorio.
  4. I sintomi non sono prodotti intenzionalmente o simulati (come nel Disturbo Fittizio o nella Simulazione).
Il Disturbo di Somatizzazione è diagnosticato prevalentemente nelle donne, ha un andamento clinico di tipo cronico, con ricorrenti ospedalizzazioni per osservazioni, visite mediche, test diagnostici. Raramente passa un anno senza che il soggetto cerchi qualche tipo di attenzione medica motivata con sintomi somatici. L’esordio si manifesta prima dei 30 anni, i sintomi in genere compaiono durante l’adolescenza e, intorno ai 25 anni spesso è possibile fare una diagnosi completa del disturbo. I sintomi più comuni sono gastro-intestinali, specie nausea e vomito, difficoltà a deglutire, dolori agli arti, dispnea indipendente da sforzo, amnesie, disturbi mestruali. E’ comune la convinzione di essere stati malati per la maggior parte della propria vita.
I soggetti di solito descrivono i loro malanni in termini coloriti, esagerati, ma spesso incoerenti o non supportati da dati concreti e specifici.
E’ da specificare che i sintomi lamentati dal paziente (crampo, sensazione di gonfiore, di rigidità, nausea ecc) non sono affatto immaginari, è solo che non corrispondono ad un problema che origina dalla zona a cui è riferito il sintomo (ad esempio intestino, stomaco, ecc.), ma origina invece dal sistema nervoso.
Il Disturbo di Somatizzazione  può essere complicato dalle innumerevoli visite, trattamenti ed interventi a cui l’individuo si sottopone, quasi sempre senza successo, per alleviare il proprio malessere; spesso richiedono il trattamento anche a numerosi medici contemporaneamente; l’invasività e spesso l’inutilità di questi interventi possono seriamente peggiorare il quadro e danneggiare in maniera irreversibile gli organi oggetto degli interventi; allo stesso modo l’eccesso di farmaci può portare ad un quadro di dipendenza.
Il quadro sintomatologico è spesso poco specifico e può sovrapporsi a una quantità di condizioni mediche generali. Tre caratteristiche depongono per una puntuale diagnosi di tale disturbo:
1) coinvolgimento di molteplici apparati;
2) esordio precoce e decorso cronico senza lo sviluppo di segni fisici;
3) assenza delle alterazioni di laboratorio che sono caratteristiche della condizione medica ipotizzabile.
I soggetti presentano lamentele fisiche ricorrenti per quasi tutta la vita, indipendentemente dalla condizioni fisiche del momento.
Umore depresso e sintomi ansiosi possono costituire la ragione per cui questi pazienti giungono in terapia. Talvolta è presente anche un comportamento impulsivo, antisociale.
Nonostante la difficoltà che spesso i pazienti con Disturbo di Somatizzazione hanno nel vedere e accettare una relazione tra i loro sintomi fisici e i loro problemi psicologici, un supporto psicoterapeutico è utile innanzitutto in quanto è stato dimostrato che tale percorso può riuscire a diminuire le loro spese per la salute anche del 50%, soprattutto per il decremento delle spese di ospedalizzazione, senza che risulti abbassato il loro grado di funzionamento o quello di soddisfazione per le cure ricevute. Attraverso la psicoterapia possono inoltre essere aiutati a gestire i loro sintomi e talora ad eliminarli.



                                       Dott.ssa Rita Manzo                           

giovedì 26 settembre 2013

PSICOPATOFOBIA - PAURA DI IMPAZZIRE

Uno dei peggiori sintomi delle crisi d’ansia e degli attacchi di panico è la paura di impazzire o di perdere il controllo, di contrarre una grave malattia mentale, vi è il timore che il cervello non funzioni più correttamente. Talvolta le persone con una crisi d’ansia possono sentirsi come se fossero sul punto di perdere la testa. Tutto ciò può essere incredibilmente debilitante, il soggetto è portato a pensare che gli stia accadendo qualcosa di terribile, o di poter perdere il controllo e commettere qualcosa di grave, irreversibile, mettendo a repentaglio la sua vita o quella di altre persone. 
Il non sentire più di avere il controllo di mente e corpo, il forte senso di irrealtà, la sensazione di estraneità dal corpo e da ciò che lo circonda, il vedere offuscato, le palpitazioni, i brividi, sono tutti sintomi dell’ansia che possono stordire a tal punto da far credere al soggetto di non essere in grado di riprendere il controllo della situazione e di stare quindi impazzendo. Ma tutto ciò è solo un brutto scherzo dell’ansia e in nessun caso questa paura indica che la persona stia realmente impazzendo. Tali sensazioni  spaventano in maniera eccessiva  le persone che le esperiscono, ma sapere che si tratta di ansia e nient’altro, per quanto spaventosa possa essere, può essere di grande aiuto a chi ne soffre. Le persone non "diventano pazze" improvvisamente e il solo fatto di analizzare la propria sanità mentale è già un indice di normalità. Questa fobia è di per sé paradossale, dato che nelle gravi malattie mentali temute, quali ad esempio le psicosi, uno dei sintomi principali è proprio la mancanza di insight, cioè di consapevolezza della malattia. Gli psicotici non hanno potere sui loro episodi psicotici che possono durare per giorni o addirittura settimane, periodo durante il quale non vi è la percezione di perdita del controllo. Così, anche se l'ansia può far sentire la persona “come se” stesse impazzendo, resta comunque una sensazione che non ha nulla a che vedere con un vero episodio psicotico. 
A volte la paura di impazzire è momentanea, ma ci sono casi in cui diventa quasi un’ossessione. Solitamente le persone mettono in atto dei meccanismi per cercare di ridurre il problema come ad esempio l’evitamento di tutte le situazioni ad “alto rischio” di panico, ciò però può produrre una riduzione progressiva delle normali attività nel quotidiano, iniziando da quelle che comportano l’esposizione diretta con i luoghi o le situazioni potenzialmente pericolosi, fino ad arrivare, nei casi più gravi, a periodi più o meno lunghi di vero e proprio ritiro sociale e isolamento da qualunque contatto interpersonale. Questi meccanismi non permettono alla persona che manifesta tale problematica di viversi la vita serenamente. Uno dei rimedi più efficaci per superare la paura di impazzire è cercare di parlare e condividere questo stato d’animo, le sensazioni che si provano e i sintomi. Per essere supportati nel modo migliore sarebbe utile cercare aiuto rivolgendosi ad uno psicologo specializzato in psicoterapia.
                                                Dott.ssa Rita Manzo

martedì 24 settembre 2013

DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO


Il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) è caratterizzato dalla presenza di ossessioni e compulsioni.
Le ossessioni sono pensieri, immagini mentali o impulsi persistenti, intrusivi ed indesiderati, che si manifestano ripetutamente nella mente e che la persona fatica a controllare ma che, in assenza di ansia, giudica come infondati ed insensati. La persona tenta di ignorare o di sopprimere tali pensieri, impulsi o immagini, o di neutralizzarli con altri pensieri o azioni, comportamenti ripetuti, rituali.
Le compulsioni, dette anche rituali o cerimoniali, sono comportamenti ripetitivi (ad esempio lavarsi le mani, controllare se il gas o la porta di casa è chiusa, riordinare oggetti), ma anche azioni mentali (ad esempio contare, pregare, ripetere formule, ecc.) che vengono attuate dalla persona allo scopo di ridurre l’ansia, il senso di disagio psicologico provocato dai pensieri ossessivi che generalmente le precedono. Spesso, alla loro mancata esecuzione, viene associato il timore che possa succedere qualcosa di brutto a se stessi o alle persone care.
I pensieri intrusivi si manifestano più volte nel corso della giornata.
Chi soffre di tale disturbo spesso mette in atto delle condotte protettive come l'evitamento di certe situazioni ritenute "pericolose" che, a lungo andare, causano limitazioni sia nella vita lavorativa che sociale che affettiva.
Chi soffre di DOC percepisce la stranezza dei suoi comportamenti e non prova alcun piacere a compiere i rituali (es. lavarsi le mani) ma li ritiene necessari al fine di mettere a tacere i pensieri assillanti che gli affiorano alla mente.

I criteri diagnostici per il DOC secondo il DSM-IV-TR (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders)  sono i seguenti:
  1. Ossessioni o compulsioni.
Ossessioni come definite da 1., 2., 3. e 4.:
    1. pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e persistenti, vissuti, in qualche momento nel corso del disturbo, come intrusivi o inappropriati e che causano ansia o disagio marcati
    2. i pensieri, gli impulsi, o le immagini non sono semplicemente eccessive preoccupazioni per i problemi della vita reale
    3. la persona tenta di ignorare o di sopprimere tali pensieri, impulsi o immagini, o di neutralizzarli con altri pensieri o azioni
    4. la persona riconosce che i pensieri, gli impulsi, o le immagini ossessivi sono un prodotto della propria mente (e non imposti dall’esterno come nell’inserzione del pensiero).
Compulsioni come definite da 1. e 2.:
    1. comportamenti ripetitivi (per es., lavarsi le mani, riordinare, controllare) o azioni mentali (per es., pregare, contare, ripetere parole mentalmente) che la persona si sente obbligata a mettere in atto in risposta ad un’ossessione o secondo regole che devono essere applicate rigidamente
    2. i comportamenti o le azioni mentali sono volti a prevenire o ridurre il disagio o a prevenire alcuni eventi o situazioni temuti; comunque questi comportamenti o azioni mentali non sono collegati in modo realistico con ciò che sono designati a neutralizzare o a prevenire, oppure sono chiaramente eccessivi.
  1. In qualche momento nel corso del disturbo la persona ha riconosciuto che le ossessioni o le compulsioni sono eccessive o irragionevoli.
    Nota: Questo non si applica ai bambini.
  2. Le ossessioni o compulsioni causano disagio marcato, fanno consumare tempo (più di 1 ora al giorno) o interferiscono significativamente con le normali abitudini della persona, con il funzionamento lavorativo (o scolastico) o con le attività o relazioni sociali usuali.
  3. Se è presente un altro disturbo in Asse I, il contenuto delle ossessioni o delle compulsioni non è limitato ad esso (per es., preoccupazione per il cibo in presenza di un Disturbo dell’Alimentazione ; tirarsi i capelli in presenza di Tricotillomania; preoccupazione per il proprio aspetto nel Disturbo da Dismorfismo Corporeo ; preoccupazione riguardante le sostanze nei Disturbi Correlati a Sostanze ; preoccupazione di avere una grave malattia in presenza di Ipocondria; preoccupazione riguardante desideri o fantasie sessuali in presenza di una Parafilia; o ruminazioni di colpa in presenza di un Disturbo Depressivo  Maggiore, Episodio Singolo o Ricorrente).
  4. Il disturbo non è dovuto agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale.
Specificare se:
     Con Scarso Insight: se per la maggior parte del tempo, durante l’episodio attuale, la persona non riconosce che le ossessioni e compulsioni sono eccessive o irragionevoli.


Il DOC interessa circa il 3% della popolazione. Può manifestarsi sia negli uomini che nelle donne. Può esordire nell'infanzia, nell'adolescenza o nella prima età adulta, ma compare con maggiore frequenza nei maschi  tra i 6 e i 15 anni e nelle donne tra i 20 e i 29 anni. I primi sintomi si manifestano nella maggior parte dei casi prima dei 25 anni (il 15% ha esordio intorno ai 10 anni) e in bassissima percentuale dopo i 40 anni. Almeno l'80% dei pazienti con DOC ha sia ossessioni che compulsioni, meno del 20% ha solo ossessioni o solo compulsioni.
Spesso il DOC viene diagnosticato e trattato in ritardo poichè chi ne soffre ha la tendenza a tenere nascosto il problema a causa del senso di vergogna che prova o per il timore di essere considerato pazzo.

Il DOC si presenta sotto svariate forme e spesso cambia volto nel corso degli anni. Ad es. una persona può avere per 4-5 anni il timore di essere contaminato per poi passare a un'altra preoccupazione altrettanto stressante, come il timore di far male a qualcuno a causa della propria irresponsabilità.
Se il disturbo ossessivo compulsivo non viene curato, generalmente tende a cronicizzare e ad aggravarsi progressivamente.



Manifestazioni e disturbi associati   Frequentemente sono presenti condotte di evitamento delle situazioni che riguardano il contenuto delle ossessioni, come lo sporco e la contaminazione. Sono comuni preoccupazioni ipocondriache, sensi di colpa, disturbi del sonno. Può esservi abuso di alcool o di farmaci.

Tra i disturbi correlati al DOC troviamo il disturbo del controllo degli impulsi (cleptomania, tricotillomania, piromania, gioco d’azzardo patologico), i disturbi sessuali (parafilie: esibizionismo, voyeurismo, feticismo), i disturbi dell’alimentazione (anoressia, bulimia), i disturbi da tic, i disturbi dissociativi, disturbi d’ansia e dell’umore.

                                            Dott.ssa Rita Manzo

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mercoledì 26 giugno 2013

DIFFERENZA TRA TIMIDEZZA E FOBIA SOCIALE

Si fa spesso confusione tra timidezza e fobia sociale in quanto esse presentano molti aspetti in comune, tuttavia è importante precisare le differenze in quanto molte persone timide, proprio a causa delle predette somiglianze, spesso si attribuiscono un disturbo che in realtà non hanno.
Va precisato innanzitutto che mentre la timidezza rientra nella normalità di un tratto caratteriale, la fobia sociale rappresenta un vero e proprio disturbo clinico.


La timidezza può essere definita come un tratto di personalità che può far sperimentare un lieve o moderato imbarazzo nel momento in cui ci si espone, ma che sostanzialmente non rappresenta un ostacolo nello svolgimento della vita della persona.

La fobia sociale, invece, è connotata da una forte e incontrollabile ansia, che finisce col prendere il sopravvento, portando la persona a dover modificare la propria vita, a rinunciare al piacere di relazionarsi all’altro. 
Il fobico sociale è oppresso dall’ansia anticipatoria dell’evento temuto. Ciò provoca un intenso vissuto d’ansia ancora prima che l’individuo si ritrovi nella situazione temuta.
Timidezza e fobia sociale in un certo senso possono essere considerate come diverse gradazioni della medesima condizione. Si differenziano, dunque, sul piano della gravità delle manifestazioni cliniche e dell’interferenza sul funzionamento sociale. In sostanza possiamo definire la fobia sociale come una timidezza esagerata che si caratterizza per una paura ed ansietà  persistenti nell’affrontare determinate situazioni sociali, nell’interazione con gli altri, o  semplicemente nell’essere osservati in qualunque situazione.
La fobia sociale è caratterizzata da un’estrema inibizione sociale e da un’esagerata timidezza. Difatti, qualsiasi situazione includa la probabilità di essere osservati o essere sottoposti al giudizio degli altri può essere molto temuta dal soggetto socialmente fobico e l’esposizione a tali situazioni genera un livello d’ansia che può assumere anche le caratteristiche di un attacco di panico. I pensieri che accompagnano l'ansia riguardano in genere il terrore di apparire ridicoli, inadeguati, incapaci, fragili, deboli, infantili, insignificanti. Questo terrore non fa altro che esasperare l'ansia al punto da manifestare effettivamente alcuni suoi segni, come la sudorazione, il tremore o il rossore. Tutti questi segni "confermano" al fobico sociale l'idea di apparire ridicolo e incapace. Inoltre, lo stato di enorme sofferenza provato in tali situazioni, può facilmente condurre all’assunzione di condotte di evitamento. Quando queste situazioni non sono evitabili, in genere emerge un intenso stato di ansia. L’evitamento non va affatto sottovalutato dato che contribuisce a mantenere il problema, limitando a lungo termine la qualità di vita della persona e,  talvolta, anche il suo funzionamento lavorativo.
Pertanto, se a un primo impatto la timidezza e la fobia sociale possono presentare dimensioni di funzionamento simili, in realtà una diversità esiste ed è rappresentata dalla differenza nell’intensità e nella quantità dei disturbi esperiti, e nel modo di rapportarsi ad essi. Nei confronti di certe situazioni sociali, quello che nella timidezza può essere solo un’apprensione o un fastidio, nella fobia sociale può diventare un vero senso di panico. E, mentre il soggetto fobico tenderà a evitare tali situazioni, il timido, in genere, si dimostra capace di affrontarle meglio, anche se in maniera insoddisfacente.
                                       Dott.ssa Rita Manzo

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lunedì 10 giugno 2013

GIOCATORI D'AZZARDO SOCIALI E PATOLOGICI: LINEA DI CONFINE

Quando si parla di gioco d’azzardo non bisogna necessariamente intendere il gioco patologico. Per molte persone giocare d’azzardo è un piacevole passatempo occasionale. È necessario, dunque, distinguere il gioco d’azzardo patologico dal gioco come forma di attività sociale e ludica.

Il GIOCATORE SOCIALE, utilizza il gioco per divertirsi e spesso lo fa in compagnia. 
Pur sperando nella vincita, è motivato da un semplice desiderio di divertimento. Generalmente non spende più denaro di quanto non si possa permettere ed è in grado di smettere di giocare quando lo desidera, riconosce nel gioco una potenziale fonte di danno economico.
Il giocatore sociale intuisce e non oltrepassa il labile confine tra innocua distensione e morboso accanimento.
Il processo che conduce il giocatore sociale a diventare giocatore problematico e successivamente dipendente appare subdolo e lento.

Il GIOCATORE PROBLEMATICO (O ECCESSIVO) non ha il pieno controllo 
sul gioco e le conseguenze che derivano da quest’ultimo, come ad esempio i debiti, iniziano a invadere la sua vita, ripercuotendosi sul benessere personale, familiare, lavorativo e sociale.
Il gioco diventa compulsivo quando il giocatore non riesce a controllare il desiderio di giocare, a prescindere dalle conseguenze di questo comportamento.


Il GIOCATORE PATOLOGICO è colui per il quale il gioco d’azzardo rappresenta una dipendenza. Il bisogno di giocare è sempre più forte. 
Solitamente il giocatore non riesce a separarsi dal gioco se non per brevi periodi di tempo. Prova irrequietezza e irritabilità quando tenta di ridurre o interrompere il gioco d’azzardo (astinenza). La frequenza di gioco è elevata anche per l’illusione che il giocatore nutre di rifarsi delle precedenti perdite (rincorsa alla perdita). L’elevato livello di eccitazione raggiunto lo spinge a trascorrere sempre più tempo al gioco, trascurando ciò che lo riguarda, lo circonda. Il giocatore patologico avverte il bisogno di giocare somme di denaro sempre maggiori per raggiungere lo stato di eccitazione ed euforia desiderato (fenomeno della tolleranza). Perde di conseguenza la reale percezione del valore del denaro. Il giocatore patologico stabilisce col gioco un rapporto esclusivo e altamente coinvolgente. Torna a giocare dopo aver perso nel tentativo di recuperare le perdite. Spesso gioca d’azzardo per alleviare sentimenti negativi come colpa, ansia, depressione. Mente ai membri della famiglia o ad altri per occultare l’entità del proprio coinvolgimento nell’azzardo. Spesso vi è una compromissione delle relazioni familiari ed amicali e talvolta la persona compie azioni illegali per recuperare denaro. In alcuni casi si toglie la vita.         
         
                                            Dott.ssa Rita Manzo

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sabato 8 giugno 2013

CHE COS'E' IL GIOCO D'AZZARDO?

Quando parliamo di gioco d'azzardo facciamo riferimento a tutti quei giochi che rispettano le seguenti caratteristiche:
-si scommette del denaro o oggetti di valore;
-la scommessa, una volta giocata, è irreversibile e non può essere ritirata;
-il risultato del gioco dipende dalla fortuna, ovvero dal caso, l’abilità del giocatore conta poco o niente perché è impossibile controllare o prevedere l’esito degli eventi.
Quindi giochi d’azzardo ogni volta che rischi soldi oppure oggetti di valore in un gioco che ti da la possibilità di vincere più di quanto hai scommesso, ma il cui esito è incerto.

I giochi d’azzardo più diffusi sono:
-gratta e vinci
-biglietti delle lotterie
-slot machine
-tutti i giochi del casinò
-giochi di carte (poker, blackjack…)
-win for life
-bingo
-corse
-scommesse sportive e schedine
-lotto – superenalotto
-dadi
-giochi a soldi in internet


Sono molti i motivi che possono spingere le persone a giocare d’azzardo: semplice divertimento, eccitazione del rischio, contrastare la depressione, evadere dalla routine, vincere denaro e migliorare la propria situazione finanziaria, cambiare vita, stare in compagnia, sognare una vita migliore...
Il gioco d’azzardo non sempre è pericoloso, molte persone giocano in modo responsabile. Tuttavia diventa un problema quando da passatempo diventa dipendenza. In questo caso il giocatore manifesta un persistente bisogno di giocare aumentando in modo progressivo il tempo e il denaro impegnati nel gioco, fino a condizionare in modo significativo gli altri ambiti della propria vita (la famiglia, il lavoro, il tempo libero), a investire al di sopra delle proprie possibilità economiche e a trascurare i quotidiani impegni della vita.
                                                 Dott.ssa Rita Manzo

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venerdì 31 maggio 2013

FOBIA SOCIALE: ESORDIO, SINTOMI E CURA


La  fobia (o ansia) sociale è un’eccessiva ansia nei confronti di tutte quelle situazioni in cui si è esposti pubblicamente. Chi soffre di ansia sociale ha il timore che tutto ciò che fa o dice possa essere sbagliato ed essere giudicato dalle persone che lo osservano.
Tale disturbo causa un impoverimento della vita dell’individuo, il quale spesso vive una vita ritirata, con poche amicizie e occasioni di svago; può compromettere la carriera scolastica e lavorativa con conseguente danno per l’immagine e l’autostima.

ESORDIO E DIFFUSIONE NELLA POPOLAZIONE
La fobia sociale è un disturbo diffusissimo che esordisce principalmente nell’adolescenza e talvolta emerge da una storia infantile di inibizione. L’esordio può seguire in modo brusco un’esperienza stressante, oppure può essere insidioso. 
Le donne hanno maggiori probabilità di soffrirne rispetto agli uomini, anche se questi ultimi tendono a sviluppare forme più gravi della malattia.
La fobia sociale, una volta instaurata, non si risolve quasi mai spontaneamente, ma tende a mantenersi in modo cronico se non trattata, peggiorando via via nel corso della vita e dando luogo spesso ad altri disturbi come la depressione. 
Nelle situazioni sociali o prestazionali temute, la persona che soffre di fobia sociale è preoccupata di provare imbarazzo ed ha paura che gli altri possano giudicarla ansiosa o stupida. Le situazioni più temute da chi soffre di fobia sociale sono quelle che implicano la necessità di dover fare qualcosa davanti ad altre persone, come ad esempio esporre una relazione o anche solo firmare, telefonare, andare alle feste, guardare negli occhi la gente, fare o accettare complimenti, parlare con persone di autorità, esprimere le proprie opinioni mangiare o bere davanti ad altre persone … .
Di solito, soprattutto se il disagio sociale che si è vissuto è forte, la persona evita le situazioni temute per la paura di comportarsi in modo “sbagliato” e poter essere mal giudicato, oppure si sforza di sopportare la situazione sociale, vivendola però con ansia. Questa paura può portare chi ne soffre ad evitare la maggior parte delle situazioni sociali.
L’individuo riconosce l’irragionevolezza della paura, tuttavia non riesce a controllarla e dunque tende spesso ad auto-accusarsi e rimproverarsi per non riuscire a fare cose che tutti fanno.
Un'altra caratteristica tipica di questo disturbo è una marcata ansia che precede le situazioni temute chiamata ansia anticipatoria. Già prima di affrontare una situazione sociale la persona con fobia sociale comincia ad esperire ansia per tale evento, perché preoccupata o convinta di non essere all’altezza, di imbarazzarsi, di non sapere come comportarsi. Ciò la porta a pensare che sarà giudicata come stupida, incapace o ridicola.
L’ansia non si manifesta solo prima, ma anche durante e dopo la situazione sociale temuta.
Dunque anche durante la situazione sociale temuta l’ansia si manifesta con tutta una serie di sintomi che spesso hanno l’esito di confermare le aspettative di fallimento temute dal fobico sociale.
L’ansia posticipata, invece, riguarda la valutazione, quasi sempre negativa, che la persona fa di sè al termine della prestazione, a causa della focalizzazione dell’attenzione solo sugli aspetti negativi della prestazione (ho fatto una pessima figura, ho sudato troppo, non sono riuscito a fare un discorso sensato etc.).

SINTOMI DELLA FOBIA SOCIALE  

I sintomi della fobia sociale possono essere sia di natura emotiva che di natura fisica.

Sul versante emotivo si riscontrano:
-Difficoltà a parlare in pubblico o con estranei.
-Difficoltà ad interagire con persone estranee.
-Difficoltà ad essere assertivi.
-Difficoltà a guardare negli occhi gli interlocutori.
-Ipersensibilità alla critica, alla valutazione negativa.
-Vergogna di vergognarsi.
-Timore che gli altri si accorgano della propria paura.
-Impossibilità di controllare il terrore e l'ansia provata in contesti sociali.
-Bassa autostima.
-Evitamento delle situazioni che causano disagio.
-Ansia anticipatoria.
-Ansia durante la situazione sociale temuta.
-Ansia posticipata.
-Interferenza dell’ansia provata con le attività quotidiane.
-Paura delle valutazioni indirette degli altri.
-Scarse capacità sociali.

Tra i sintomi fisici della fobia sociale si riscontrano:
-Rossore sul viso.
-Marcata sudorazione.
-Sensazione di "testa vuota".
-Tremori e movimenti involontari.
-Accelerazione del battito cardiaco.
-Secchezza delle fauci.
-Vampate di calore.
-Tensione muscolare.
-Difficoltà respiratorie.
-Mal di stomaco, nausea.
-Mal di testa.
-Crampi intestinali e diarrea.
-Alterazione del tono di voce.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Gli individui con attacchi di panico ed evitamento sociale talvolta presentano un problema diagnostico potenzialmente difficile. 
Non si fa’ diagnosi di fobia sociale quando l’unico timore sociale è rappresentato dall’essere visti durante un attacco di panico. Il prototipo della fobia sociale è caratterizzato dall’evitamento di situazioni sociali in assenza di attacchi di panico inaspettati ricorrenti.
L’evitamento di situazioni per il timore di possibili umiliazioni è in primo piano nella fobia sociale, ma può talvolta manifestarsi nel disturbo di panico con agorafobia e nell’agorafobia senza anamnesi di disturbo di panico. Le situazioni evitate nella fobia sociale sono limitate a quelle che implicano l’eventuale giudizio di altre persone.

CURA DELLA FOBIA SOCIALE       
La fobia sociale è un disturbo che, se non adeguatamente trattato, può interferire seriamente con le relazioni interpersonali, le prestazioni scolastiche e lavorative, determinando un significativo peggioramento della qualità di vita.
Quando i sintomi della fobia sociale si ripresentano costantemente, con un'intensità tale da creare un significativo disagio, è essenziale rivolgersi ad uno psicologo psicoterapeuta ed intraprendere un trattamento specifico che consenta di modificare i pensieri disfunzionali, ed offrire alle persone che soffrono di tale disturbo maggiori capacità ed abilità nell’affrontare le situazioni temute ed una maggiore serenità nel rapporto con sé stessi.
                                                  Dott.ssa Rita Manzo




mercoledì 29 maggio 2013

GIOCO D'AZZARDO PATOLOGICO: SCOMMETTI CHE TI ROVINI?


Il gioco è bello quando dura poco...
(Anonimo)

Negli ultimi anni il gioco d’azzardo e’ aumentato moltissimo, e la patologia connessa (gap) e’ stata riconosciuta come malattia anche dal ministero della sanita’.  Il gioco d’azzardo patologico è in aumento principalmente perché oggi rispetto al passato vi è una maggiore facilità di accesso ai giochi d'azzardo, una maggiore diversificazione delle tipologie di gioco, una moltiplicazione degli spazi in cui è possibile giocare e una sollecitazione sensoriale mediatica sempre più vasta che propina alle persone come con pochi euro sia possibile dare finalmente una svolta alla propria vita. Certamente la crisi economica riveste un ruolo importante nell’aumento del gioco d’azzardo. E’ soprattutto in tempi di crisi che prende piede l’illusione di vincere “facile”, di poter risolvere i propri problemi finanziari e cambiare vita col gioco d’azzardo, correndo così il rischio di sviluppare una dipendenza.
Tra le categorie più a rischio ci sono gli adolescenti e gli anziani che presentano un crescente indice di vulnerabilità in relazione alle attività di gioco, con il conseguente rischio di comportamenti di dipendenza, che talvolta sfociano in vere e proprie forme patologiche. Sono a rischio anche coloro che hanno un lavoro saltuario o precario, le donne casalinghe o lavoratrici autonome, che generalmente hanno più tempo libero da impiegare nelle scommesse rispetto ad un lavoratore dipendente. Particolarmente a rischio sono anche le persone che presentano già una storia di abuso da sostanze (alcol e droghe) e coloro che lavorano in contesti in cui c’è un’esposizione a situazioni di gioco o che possono facilmente accedere ad esse.
Il 3% della popolazione italiana ha un problema di gioco d’azzardo patologico e il mondo femminile sta diventando sempre più rappresentativo all’interno di questa popolazione. Se nel 2000 rappresentava il 10% della popolazione dei giocatori, oggi i dati parlano del 40%. 
Il gioco più diffuso tra le donne è il Bingo, molto simile alla Tombola, un luogo dall’aspetto familiare e rassicurante che consente di evadere dalle preoccupazioni quotidiane, da una realtà percepita come insopportabile. E’ proprio questa sorta di anestetizzazione dai problemi ad indurre la dipendenza. Ad essere coinvolte nella patologia del gioco d’azzardo sono in prevalenza le donne “mature” o le casalinghe, spesso motivate a giocare per colmare il senso di noia e solitudine dal quale si sentono pervase.
C’è anche da dire che le donne sono state le prime ad avvertire gli effetti della crisi economica; molte di esse, infatti, hanno perso il lavoro, e con esso anche l’indipendenza economica. La conseguenza è un’inevitabile frustrazione e depressione. Sopraggiunge in tale contesto il desiderio nella donna di riacquisire la perduta autonomia monetaria, oppure di risollevare le sorti economiche della famiglia.
Il gioco d’azzardo patologico è una malattia che coinvolge e può portare sofferenza anche al contesto familiare e sociale del giocatore; spesso la vita delle persone che circondano il giocatore patologico viene sconvolta sia sul piano pratico e materiale che su quello affettivo e relazionale. A volte la sofferenza è talmente grande che anche queste persone finiscono per ammalarsi. 
Spesso le persone vicine al giocatore si sentono impotenti e non di rado si colpevolizzano, convinte di essere la causa della malattia del loro caro o che comunque sia colpa loro se non riescono a farlo smettere di giocare. E’ frequente che i familiari ricerchino delle motivazioni, delle cause alla malattia, ma questo non aiuta a risolvere il problema. Inoltre i familiari assumono non di rado un atteggiamento di co-dipendenza poiché da un lato giustificano il suo giocare d’azzardo e dall’altro controllano la persona e la sua indipendenza economica attraverso la gestione del denaro di questi. Spesso ai familiari e agli amici occorre tempo per rendersi conto che è impossibile controllare il gioco di una persona dipendente, e indurlo a smettere. Ecco perché la terapia deve agire anche sulla famiglia cercando di modificare quei comportamenti patologici quasi automatici, che tutti i membri della famiglia assumono, in funzione della ricerca di nuovi atteggiamenti.
Il gioco d'azzardo patologico, come tutte le dipendenze, è una malattia cronica, che abbisogna pertanto di un intervento terapeutico strutturato.
Un aiuto specialistico è fondamentale, ma chi soffre di ludopatia difficilmente lo riconosce. Il compito dei familiari e degli amici, che soffrono con il giocatore patologico quando lo scoprono, è quindi quello di aiutare questa persona  ad affrontare la dipendenza da gioco d’azzardo patologico. Per fare ciò è necessario un intervento psicologico e psicoterapeutico rivolti all'individuo e al contesto familiare che talvolta, inconsapevolmente, favorisce l'insorgere e/o il persistere della patologia. Il lavoro psicologico è volto ad approfondire la motivazione a guarire del paziente, le emozioni e i comportamenti connessi al gioco d’azzardo patologico, puntando soprattutto a scardinare i meccanismi della dipendenza, cercando di prevenire le ricadute.
I gruppi di auto–aiuto costituiscono un importante strumento aggiuntivo al trattamento in quanto offrono a persone che vivono in situazioni simili l'opportunità di condividere le proprie esperienze e di aiutarsi ad affrontare i problemi comuni.
Anche un consulente legale può essere un valido aiuto per il giocatore e la sua famiglia per risanare una situazione economica spesso compromessa e per fornire un supporto giuridico a quei giocatori che abbiano commesso illeciti.
Una dipendenza si sviluppa nell’arco di molti anni e ci vuole spesso un po’ di tempo per imparare a vivere senza gioco d’azzardo. In quest’ottica le ricadute fanno spesso parte del percorso terapeutico e non vanno considerate semplicemente come fallimenti. Dal punto di vista clinico la scivolata, ovvero la ricaduta sporadica, è un’occasione per far sperimentare e consapevolizzare al paziente la sua fragilità rispetto all’attività di gioco. Alcuni eventi stressanti come la difficoltà di affrontare e gestire problemi lavorativi, difficoltà nelle relazioni familiari, problemi economici e nel pagamento dei debiti, problemi di salute, possono spingere l’ex giocatore a tornare a giocare d’azzardo.
E’ fondamentale, in caso di ricaduta, che il giocatore non si lasci sopraffare da sentimenti di fallimento e di incapacità e ne parli subito con i familiari e con lo psicologo psicoterapeuta, per un pronto intervento volto a comprendere e gestire le emozioni legate all’accaduto e per prevenire future ricadute.
                                      Dott.ssa Rita Manzo