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lunedì 23 dicembre 2013
mercoledì 9 ottobre 2013
DISTURBO DI SOMATIZZAZIONE
Il disturbo di
somatizzazione è una sindrome cronica che si manifesta con sintomi somatici
(cioè fisici) che non hanno cause di tipo organico, ma che sono associati ad un
disagio psicologico e sociale e sono comunque tali da indurre il paziente ad
assumere farmaci, a consultare medici e ad alterare il proprio stile di vita.
Il termine “somatizzazione”,
dunque, indica il processo che porta ad
esprimere un disagio psicologico mediante la comparsa di sintomi fisici, in
assenza di patologie organiche.
I criteri diagnostici per il
Disturbo di Somatizzazione secondo il DSM-IV-TR (Diagnostic and Statistical Manual of Mental
Disorders, Fourth Edition) sono
i seguenti:
- Una
storia, cominciata prima dei 30 anni, di molteplici lamentele fisiche che
si manifestano lungo un periodo di numerosi anni, e che conducono alla
ricerca di trattamento o portano a significative menomazioni nel
funzionamento sociale, lavorativo, o in altre aree importanti.
- Tutti
i criteri seguenti debbono essere riscontrabili, nel senso che i singoli
sintomi debbono comparire in qualche momento nel corso del disturbo:
- quattro
sintomi dolorosi: una
storia di dolore riferita ad almeno quattro localizzazioni o funzioni
(per es. testa, addome, schiena, articolazioni, arti, torace, retto,
dolori mestruali, dolore nel rapporto sessuale o durante la minzione);
- due sintomi gastro-intestinali: una storia di almeno due sintomi gastro-intestinali in aggiunta al dolore (per es. nausea, meteorismo, vomito al di fuori della gravidanza, diarrea, oppure intolleranza a numerosi cibi diversi);
- un
sintomo sessuale: una
storia di almeno un sintomo sessuale o riproduttivo in aggiunta al dolore
(per es. indifferenza sessuale, disfunzioni dell’erezione o
dell’eiaculazione, cicli mestruali irregolari, eccessivo sanguinamento
mestruale, vomito durante la gravidanza);
- un
sintomo pseudo-neurologico: una
storia di almeno un sintomo o deficit che fa pensare ad una condizione
neurologica non limitata al dolore (sintomi di conversione, come
alterazioni della coordinazione o dell’equilibrio, paralisi o ipostenia localizzate,
difficoltà a deglutire o nodo alla gola, mancamenti, afonia, ritenzione
urinaria, allucinazioni, perdita della sensibilità tattile o dolorifica,
diplopia, cecità, sordità, convulsioni, sintomi dissociativi come
amnesia, oppure perdita di coscienza con modalità diverse dai
mancamenti).
- L’uno
o l’altro di 1. e 2.:
- dopo
le appropriate indagini, ciascuno dei sintomi del Criterio B non può
essere esaurientemente spiegato con una condizione medica generale
conosciuta o con gli effetti diretti di una sostanza (per es. una droga
di abuso, o un medicinale);
- quando
vi è una condizione medica generale collegata, le lamentele fisiche o la
menomazione sociale o lavorativa che ne deriva risultano sproporzionate
rispetto a quanto ci si dovrebbe aspettare dalla storia, dall’esame
fisico e dai reperti di laboratorio.
- I sintomi non sono prodotti intenzionalmente o simulati (come nel Disturbo Fittizio o nella Simulazione).
Il Disturbo di Somatizzazione è
diagnosticato prevalentemente nelle donne, ha un andamento clinico di tipo
cronico, con ricorrenti ospedalizzazioni per osservazioni, visite mediche, test
diagnostici. Raramente passa un anno senza che il soggetto cerchi qualche tipo
di attenzione medica motivata con sintomi somatici. L’esordio si manifesta
prima dei 30 anni, i sintomi in genere compaiono durante l’adolescenza e,
intorno ai 25 anni spesso è possibile fare una diagnosi completa del disturbo.
I sintomi più comuni sono gastro-intestinali, specie nausea e vomito,
difficoltà a deglutire, dolori agli arti, dispnea indipendente da sforzo,
amnesie, disturbi mestruali. E’ comune la convinzione di essere stati malati
per la maggior parte della propria vita.
I soggetti di solito descrivono i loro malanni in termini
coloriti, esagerati, ma spesso incoerenti o non supportati da dati concreti e
specifici.
E’ da specificare che i sintomi lamentati dal
paziente (crampo, sensazione di gonfiore, di
rigidità, nausea ecc) non sono affatto immaginari, è solo che non corrispondono
ad un problema che origina dalla zona a cui è riferito il sintomo (ad esempio
intestino, stomaco, ecc.), ma origina invece dal sistema nervoso.
Il Disturbo di Somatizzazione può essere complicato dalle innumerevoli
visite, trattamenti ed
interventi a cui l’individuo si sottopone, quasi sempre senza successo, per
alleviare il proprio malessere; spesso richiedono il trattamento anche a
numerosi medici contemporaneamente; l’invasività e spesso l’inutilità di questi
interventi possono seriamente peggiorare il quadro e danneggiare in maniera
irreversibile gli organi oggetto degli interventi; allo stesso modo l’eccesso
di farmaci può portare ad un quadro di dipendenza.
Il quadro sintomatologico è spesso
poco specifico e può sovrapporsi a una quantità di condizioni mediche generali.
Tre caratteristiche depongono per una puntuale diagnosi di tale disturbo:
1) coinvolgimento di molteplici
apparati;
2) esordio precoce e decorso cronico
senza lo sviluppo di segni fisici;
3) assenza delle alterazioni di
laboratorio che sono caratteristiche della condizione medica ipotizzabile.
I soggetti presentano lamentele
fisiche ricorrenti per quasi tutta la vita, indipendentemente dalla condizioni
fisiche del momento.
Umore depresso e sintomi ansiosi
possono costituire la ragione per cui questi pazienti giungono in terapia. Talvolta
è presente anche un comportamento impulsivo, antisociale.
Nonostante la difficoltà che spesso
i pazienti con Disturbo di Somatizzazione hanno nel vedere e accettare una
relazione tra i loro sintomi fisici e i loro problemi psicologici, un supporto
psicoterapeutico è utile innanzitutto in quanto è stato dimostrato che tale
percorso può riuscire a diminuire le loro spese per la salute anche del 50%,
soprattutto per il decremento delle spese di ospedalizzazione, senza che
risulti abbassato il loro grado di funzionamento o quello di soddisfazione per
le cure ricevute. Attraverso la psicoterapia possono inoltre essere aiutati a gestire
i loro sintomi e talora ad eliminarli.
Dott.ssa Rita Manzo
giovedì 26 settembre 2013
PSICOPATOFOBIA - PAURA DI IMPAZZIRE
Il non sentire più di avere il controllo di mente e corpo, il forte senso di irrealtà, la sensazione di estraneità dal corpo e da ciò che lo circonda, il vedere offuscato, le palpitazioni, i brividi, sono tutti sintomi dell’ansia che possono stordire a tal punto da far credere al soggetto di non essere in grado di riprendere il controllo della situazione e di stare quindi impazzendo. Ma tutto ciò è solo un brutto scherzo dell’ansia e in nessun caso questa paura indica che la persona stia realmente impazzendo. Tali sensazioni spaventano in maniera eccessiva le persone che le esperiscono, ma sapere che si tratta di ansia e nient’altro, per quanto spaventosa possa essere, può essere di grande aiuto a chi ne soffre. Le persone non "diventano pazze" improvvisamente e il solo fatto di analizzare la propria sanità mentale è già un indice di normalità. Questa fobia è di per sé paradossale, dato che nelle gravi malattie mentali temute, quali ad esempio le psicosi, uno dei sintomi principali è proprio la mancanza di insight, cioè di consapevolezza della malattia. Gli psicotici non hanno potere sui loro episodi psicotici che possono durare per giorni o addirittura settimane, periodo durante il quale non vi è la percezione di perdita del controllo. Così, anche se l'ansia può far sentire la persona “come se” stesse impazzendo, resta comunque una sensazione che non ha nulla a che vedere con un vero episodio psicotico.
A volte la paura di impazzire è momentanea, ma ci sono casi in cui diventa quasi un’ossessione. Solitamente le persone mettono in atto dei meccanismi per cercare di ridurre il problema come ad esempio l’evitamento di tutte le situazioni ad “alto rischio” di panico, ciò però può produrre una riduzione progressiva delle normali attività nel quotidiano, iniziando da quelle che comportano l’esposizione diretta con i luoghi o le situazioni potenzialmente pericolosi, fino ad arrivare, nei casi più gravi, a periodi più o meno lunghi di vero e proprio ritiro sociale e isolamento da qualunque contatto interpersonale. Questi meccanismi non permettono alla persona che manifesta tale problematica di viversi la vita serenamente. Uno dei rimedi più efficaci per superare la paura di impazzire è cercare di parlare e condividere questo stato d’animo, le sensazioni che si provano e i sintomi. Per essere supportati nel modo migliore sarebbe utile cercare aiuto rivolgendosi ad uno psicologo specializzato in psicoterapia.
Dott.ssa Rita Manzo
martedì 24 settembre 2013
DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO
Il
disturbo ossessivo compulsivo (DOC) è caratterizzato dalla presenza di ossessioni
e compulsioni.
Le
ossessioni sono pensieri, immagini
mentali o impulsi persistenti, intrusivi ed indesiderati, che si manifestano
ripetutamente nella mente e che la persona fatica a controllare ma che, in
assenza di ansia, giudica come infondati ed insensati. La persona tenta di
ignorare o di sopprimere tali pensieri, impulsi o immagini, o di neutralizzarli
con altri pensieri o azioni, comportamenti
ripetuti, rituali.
Le compulsioni,
dette anche rituali o cerimoniali, sono comportamenti
ripetitivi (ad esempio lavarsi le mani, controllare se il gas o la porta di
casa è chiusa, riordinare oggetti), ma anche azioni mentali (ad esempio
contare, pregare, ripetere formule, ecc.) che
vengono attuate dalla persona allo scopo di ridurre l’ansia, il senso di
disagio psicologico provocato dai pensieri ossessivi che generalmente le
precedono. Spesso, alla loro mancata esecuzione, viene associato il
timore che possa succedere qualcosa di brutto a se stessi o alle persone care.
I
pensieri intrusivi si manifestano più volte nel corso della giornata.
Chi
soffre di tale disturbo spesso mette in atto delle condotte protettive come
l'evitamento di certe situazioni ritenute "pericolose" che, a lungo
andare, causano limitazioni sia nella vita lavorativa che sociale che affettiva.
Chi
soffre di DOC percepisce la stranezza dei suoi comportamenti e non prova alcun
piacere a compiere i rituali (es. lavarsi le mani) ma li ritiene necessari al
fine di mettere a tacere i pensieri assillanti che gli affiorano alla mente.
I criteri diagnostici per il DOC
secondo il DSM-IV-TR (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) sono i seguenti:
- Ossessioni
o compulsioni.
Ossessioni come definite da 1., 2.,
3. e 4.:
- pensieri,
impulsi o immagini ricorrenti e persistenti, vissuti, in qualche momento
nel corso del disturbo, come intrusivi o inappropriati e che causano
ansia o disagio marcati
- i
pensieri, gli impulsi, o le immagini non sono semplicemente eccessive
preoccupazioni per i problemi della vita reale
- la
persona tenta di ignorare o di sopprimere tali pensieri, impulsi o
immagini, o di neutralizzarli con altri pensieri o azioni
- la
persona riconosce che i pensieri, gli impulsi, o le immagini ossessivi
sono un prodotto della propria mente (e non imposti dall’esterno come
nell’inserzione del pensiero).
Compulsioni come definite da 1. e
2.:
- comportamenti
ripetitivi (per es., lavarsi le mani, riordinare, controllare) o azioni
mentali (per es., pregare, contare, ripetere parole mentalmente) che la
persona si sente obbligata a mettere in atto in risposta ad un’ossessione
o secondo regole che devono essere applicate rigidamente
- i
comportamenti o le azioni mentali sono volti a prevenire o ridurre il
disagio o a prevenire alcuni eventi o situazioni temuti; comunque questi
comportamenti o azioni mentali non sono collegati in modo realistico con
ciò che sono designati a neutralizzare o a prevenire, oppure sono
chiaramente eccessivi.
- In
qualche momento nel corso del disturbo la persona ha riconosciuto che le
ossessioni o le compulsioni sono eccessive o irragionevoli.
Nota: Questo non si applica ai bambini. - Le
ossessioni o compulsioni causano disagio marcato, fanno consumare tempo
(più di 1 ora al giorno) o interferiscono significativamente con le
normali abitudini della persona, con il funzionamento lavorativo (o
scolastico) o con le attività o relazioni sociali usuali.
- Se
è presente un altro disturbo in Asse I, il contenuto delle ossessioni o
delle compulsioni non è limitato ad esso (per es., preoccupazione per il
cibo in presenza di un Disturbo dell’Alimentazione ; tirarsi i
capelli in presenza di Tricotillomania; preoccupazione per il proprio
aspetto nel Disturbo da Dismorfismo Corporeo ; preoccupazione
riguardante le sostanze nei Disturbi Correlati a Sostanze ;
preoccupazione di avere una grave malattia in presenza di Ipocondria;
preoccupazione riguardante desideri o fantasie sessuali in presenza di
una Parafilia; o ruminazioni di colpa in presenza di un Disturbo
Depressivo Maggiore, Episodio
Singolo o Ricorrente).
- Il
disturbo non è dovuto agli effetti fisiologici diretti di una sostanza
(per es., una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica
generale.
Specificare se:
Con
Scarso Insight: se per la maggior parte del tempo, durante l’episodio
attuale, la persona non riconosce che le ossessioni e compulsioni sono
eccessive o irragionevoli.
Il DOC interessa circa il 3% della
popolazione. Può manifestarsi sia negli uomini che nelle donne. Può esordire
nell'infanzia, nell'adolescenza o nella prima età adulta, ma compare con maggiore
frequenza nei maschi tra i 6 e i 15 anni
e nelle donne tra i 20 e i 29 anni. I primi sintomi si manifestano nella
maggior parte dei casi prima dei 25 anni (il 15% ha esordio intorno ai 10 anni)
e in bassissima percentuale dopo i 40 anni. Almeno l'80% dei pazienti con
DOC ha sia ossessioni che compulsioni, meno del 20% ha solo ossessioni o solo
compulsioni.
Spesso il DOC viene diagnosticato e trattato in
ritardo poichè chi ne soffre ha la tendenza a tenere nascosto il problema a
causa del senso di vergogna che prova o per il timore di essere considerato
pazzo.
Il DOC si presenta sotto svariate forme e spesso
cambia volto nel corso degli anni. Ad es. una persona può avere per 4-5 anni il
timore di essere contaminato per poi passare a un'altra preoccupazione
altrettanto stressante, come il timore di far male a qualcuno a causa della
propria irresponsabilità.
Se il disturbo ossessivo compulsivo non viene curato, generalmente tende a cronicizzare e ad aggravarsi progressivamente.
Se il disturbo ossessivo compulsivo non viene curato, generalmente tende a cronicizzare e ad aggravarsi progressivamente.
Manifestazioni
e disturbi associati Frequentemente sono
presenti condotte di evitamento delle situazioni che riguardano il contenuto
delle ossessioni, come lo sporco e la contaminazione. Sono comuni
preoccupazioni ipocondriache, sensi di colpa, disturbi del sonno. Può esservi
abuso di alcool o di farmaci.
Tra i disturbi correlati al DOC troviamo il
disturbo del controllo degli impulsi (cleptomania, tricotillomania, piromania,
gioco d’azzardo patologico), i disturbi sessuali (parafilie: esibizionismo,
voyeurismo, feticismo), i disturbi dell’alimentazione (anoressia, bulimia), i
disturbi da tic, i disturbi dissociativi, disturbi d’ansia e dell’umore.
Dott.ssa Rita Manzo
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Santa Maria Capua Vetere
mercoledì 26 giugno 2013
DIFFERENZA TRA TIMIDEZZA E FOBIA SOCIALE
La
timidezza può essere definita come un tratto di personalità che può far
sperimentare un lieve o moderato imbarazzo nel momento in cui ci si espone, ma
che sostanzialmente non rappresenta un ostacolo nello svolgimento della vita della
persona.
La
fobia sociale, invece, è connotata da una forte e incontrollabile ansia, che
finisce col prendere il sopravvento, portando la persona a dover modificare la
propria vita, a rinunciare al piacere di relazionarsi all’altro.
Il fobico sociale è oppresso dall’ansia anticipatoria dell’evento temuto. Ciò provoca un intenso vissuto d’ansia ancora prima che l’individuo si ritrovi nella situazione temuta.
Il fobico sociale è oppresso dall’ansia anticipatoria dell’evento temuto. Ciò provoca un intenso vissuto d’ansia ancora prima che l’individuo si ritrovi nella situazione temuta.
Timidezza
e fobia sociale in un certo senso possono essere considerate come diverse
gradazioni della medesima condizione. Si differenziano, dunque, sul piano della
gravità delle manifestazioni cliniche e dell’interferenza sul funzionamento sociale. In
sostanza possiamo definire la fobia sociale come una timidezza esagerata che si
caratterizza per una paura ed ansietà persistenti nell’affrontare
determinate situazioni sociali, nell’interazione con gli altri, o
semplicemente nell’essere osservati in qualunque situazione.
La fobia
sociale è caratterizzata da un’estrema inibizione sociale e da un’esagerata
timidezza. Difatti, qualsiasi situazione includa la probabilità di essere
osservati o essere sottoposti al giudizio degli altri può essere molto temuta
dal soggetto socialmente fobico e l’esposizione a tali situazioni genera un
livello d’ansia che può assumere anche le caratteristiche di un attacco di
panico. I pensieri che accompagnano l'ansia riguardano in genere
il terrore di apparire ridicoli, inadeguati, incapaci, fragili, deboli,
infantili, insignificanti. Questo terrore non fa altro che esasperare l'ansia
al punto da manifestare effettivamente alcuni suoi segni, come la sudorazione,
il tremore o il rossore. Tutti questi segni "confermano" al fobico sociale l'idea di apparire ridicolo e incapace. Inoltre, lo
stato di enorme sofferenza provato in tali situazioni, può facilmente condurre
all’assunzione di condotte di evitamento. Quando queste situazioni non sono evitabili,
in genere emerge un intenso stato di ansia. L’evitamento non va affatto
sottovalutato dato che contribuisce a mantenere il problema, limitando a lungo
termine la qualità di vita della persona e, talvolta, anche il suo funzionamento
lavorativo.
Pertanto, se a
un primo impatto la timidezza e la fobia sociale possono presentare dimensioni
di funzionamento simili, in realtà una diversità esiste ed è rappresentata
dalla differenza nell’intensità e nella quantità dei disturbi esperiti, e nel
modo di rapportarsi ad essi. Nei confronti di certe situazioni sociali, quello
che nella timidezza può essere solo un’apprensione o un fastidio, nella fobia
sociale può diventare un vero senso di panico. E, mentre il soggetto fobico tenderà
a evitare tali situazioni, il timido, in genere, si dimostra capace di
affrontarle meglio, anche se in maniera insoddisfacente.
Dott.ssa Rita Manzo
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lunedì 10 giugno 2013
GIOCATORI D'AZZARDO SOCIALI E PATOLOGICI: LINEA DI CONFINE
Quando si parla di gioco
d’azzardo non bisogna necessariamente intendere il gioco patologico. Per
molte persone giocare d’azzardo è un piacevole passatempo occasionale. È
necessario, dunque, distinguere il gioco d’azzardo patologico dal gioco come
forma di attività sociale e ludica.
Il GIOCATORE SOCIALE,
utilizza il gioco per divertirsi e spesso lo fa in compagnia.
Pur sperando nella vincita, è motivato da un semplice desiderio di divertimento. Generalmente non spende più denaro di quanto non si possa permettere ed è in grado di smettere di giocare quando lo desidera, riconosce nel gioco una potenziale fonte di danno economico.
Pur sperando nella vincita, è motivato da un semplice desiderio di divertimento. Generalmente non spende più denaro di quanto non si possa permettere ed è in grado di smettere di giocare quando lo desidera, riconosce nel gioco una potenziale fonte di danno economico.
Il giocatore sociale intuisce e non oltrepassa il labile confine tra
innocua distensione e morboso accanimento.
Il processo che conduce il giocatore sociale a diventare giocatore
problematico e successivamente dipendente appare subdolo e lento.
Il gioco diventa compulsivo quando il giocatore non riesce a
controllare il desiderio di giocare, a prescindere dalle conseguenze di questo
comportamento.
Il GIOCATORE PATOLOGICO è
colui per il quale il gioco d’azzardo rappresenta una dipendenza. Il bisogno di
giocare è sempre più forte.
Solitamente il giocatore non riesce a separarsi dal gioco se non per brevi periodi di tempo. Prova irrequietezza e irritabilità quando tenta di ridurre o interrompere il gioco d’azzardo (astinenza). La frequenza di gioco è elevata anche per l’illusione che il giocatore nutre di rifarsi delle precedenti perdite (rincorsa alla perdita). L’elevato livello di eccitazione raggiunto lo spinge a trascorrere sempre più tempo al gioco, trascurando ciò che lo riguarda, lo circonda. Il giocatore patologico avverte il bisogno di giocare somme di denaro sempre maggiori per raggiungere lo stato di eccitazione ed euforia desiderato (fenomeno della tolleranza). Perde di conseguenza la reale percezione del valore del denaro. Il giocatore patologico stabilisce col gioco un rapporto esclusivo e altamente coinvolgente. Torna a giocare dopo aver perso nel tentativo di recuperare le perdite. Spesso gioca d’azzardo per alleviare sentimenti negativi come colpa, ansia, depressione. Mente ai membri della famiglia o ad altri per occultare l’entità del proprio coinvolgimento nell’azzardo. Spesso vi è una compromissione delle relazioni familiari ed amicali e talvolta la persona compie azioni illegali per recuperare denaro. In alcuni casi si toglie la vita.
Dott.ssa Rita Manzo
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Solitamente il giocatore non riesce a separarsi dal gioco se non per brevi periodi di tempo. Prova irrequietezza e irritabilità quando tenta di ridurre o interrompere il gioco d’azzardo (astinenza). La frequenza di gioco è elevata anche per l’illusione che il giocatore nutre di rifarsi delle precedenti perdite (rincorsa alla perdita). L’elevato livello di eccitazione raggiunto lo spinge a trascorrere sempre più tempo al gioco, trascurando ciò che lo riguarda, lo circonda. Il giocatore patologico avverte il bisogno di giocare somme di denaro sempre maggiori per raggiungere lo stato di eccitazione ed euforia desiderato (fenomeno della tolleranza). Perde di conseguenza la reale percezione del valore del denaro. Il giocatore patologico stabilisce col gioco un rapporto esclusivo e altamente coinvolgente. Torna a giocare dopo aver perso nel tentativo di recuperare le perdite. Spesso gioca d’azzardo per alleviare sentimenti negativi come colpa, ansia, depressione. Mente ai membri della famiglia o ad altri per occultare l’entità del proprio coinvolgimento nell’azzardo. Spesso vi è una compromissione delle relazioni familiari ed amicali e talvolta la persona compie azioni illegali per recuperare denaro. In alcuni casi si toglie la vita.
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sabato 8 giugno 2013
CHE COS'E' IL GIOCO D'AZZARDO?
Quando parliamo di gioco d'azzardo facciamo riferimento a tutti quei
giochi che rispettano le seguenti caratteristiche:
-si scommette del denaro o oggetti di valore;
-la scommessa, una volta giocata, è irreversibile e non può essere
ritirata;
-il risultato del gioco dipende dalla fortuna, ovvero dal caso, l’abilità
del giocatore conta poco o niente perché è impossibile controllare o prevedere
l’esito degli eventi.
Quindi giochi d’azzardo ogni volta che rischi soldi oppure oggetti di
valore in un gioco che ti da la possibilità di vincere più di quanto hai
scommesso, ma il cui esito è incerto.
-gratta e vinci
-biglietti delle lotterie
-slot machine
-tutti i giochi del casinò
-giochi di carte (poker, blackjack…)
-win for life
-bingo
-corse
-scommesse sportive e schedine
-lotto – superenalotto
-dadi
-giochi a soldi in internet
Sono molti i motivi che possono spingere le persone a giocare d’azzardo:
semplice divertimento, eccitazione del rischio, contrastare la depressione, evadere
dalla routine, vincere denaro e migliorare la propria situazione finanziaria,
cambiare vita, stare in compagnia, sognare una vita migliore...
Il gioco d’azzardo non sempre è pericoloso, molte persone giocano in
modo responsabile. Tuttavia diventa un problema quando da passatempo diventa
dipendenza. In questo caso il giocatore manifesta un persistente bisogno di giocare aumentando
in modo progressivo il tempo e il denaro impegnati nel gioco, fino a
condizionare in modo significativo gli altri ambiti della propria vita (la
famiglia, il lavoro, il tempo libero), a investire al di sopra delle proprie
possibilità economiche e a trascurare i quotidiani impegni della vita.
Dott.ssa Rita Manzo
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81042 Calvi Risorta CE, Italia
venerdì 31 maggio 2013
FOBIA SOCIALE: ESORDIO, SINTOMI E CURA
La fobia (o ansia) sociale è un’eccessiva ansia nei confronti di tutte quelle situazioni in cui si è esposti pubblicamente. Chi soffre di ansia sociale ha il timore che tutto ciò che fa o dice possa essere sbagliato ed essere giudicato dalle persone che lo osservano.
Tale disturbo causa un impoverimento
della vita dell’individuo, il quale spesso vive una vita ritirata, con poche
amicizie e occasioni di svago; può compromettere la carriera scolastica e
lavorativa con conseguente danno per l’immagine e l’autostima.
ESORDIO E DIFFUSIONE NELLA POPOLAZIONE
La
fobia sociale è un disturbo diffusissimo che esordisce
principalmente nell’adolescenza e talvolta emerge da una storia infantile di inibizione. L’esordio può
seguire in modo brusco un’esperienza stressante, oppure può essere insidioso.
Le donne hanno maggiori probabilità di soffrirne rispetto agli uomini, anche se questi ultimi tendono a sviluppare forme più gravi della malattia.
Le donne hanno maggiori probabilità di soffrirne rispetto agli uomini, anche se questi ultimi tendono a sviluppare forme più gravi della malattia.
La fobia sociale, una
volta instaurata, non si risolve quasi mai spontaneamente, ma tende a mantenersi in modo cronico se non
trattata, peggiorando via via nel corso della vita e dando luogo spesso ad altri
disturbi come la depressione.
Nelle
situazioni sociali o prestazionali temute, la persona che soffre di fobia
sociale è preoccupata di provare imbarazzo ed ha paura che gli altri possano
giudicarla ansiosa o stupida. Le
situazioni più temute da chi soffre di fobia sociale sono quelle che implicano
la necessità di dover fare qualcosa davanti ad altre persone, come ad esempio
esporre una relazione o anche solo firmare, telefonare, andare alle feste,
guardare negli occhi la gente, fare o accettare complimenti, parlare con
persone di autorità, esprimere le proprie opinioni mangiare o bere davanti ad
altre persone … .
Di
solito, soprattutto se il disagio sociale che si è vissuto è forte, la persona evita
le situazioni temute per la paura di comportarsi in modo “sbagliato” e poter
essere mal giudicato, oppure si sforza di sopportare la situazione sociale,
vivendola però con ansia. Questa paura può portare chi ne soffre ad evitare la
maggior parte delle situazioni sociali.
L’individuo
riconosce l’irragionevolezza della paura, tuttavia non
riesce a controllarla e
dunque tende spesso ad auto-accusarsi e rimproverarsi per non riuscire a fare cose
che tutti fanno.
Un'altra caratteristica tipica di
questo disturbo è una marcata ansia che precede le situazioni temute chiamata ansia anticipatoria. Già prima di
affrontare una situazione sociale la persona con fobia sociale comincia ad
esperire ansia per tale evento, perché preoccupata o convinta di non essere all’altezza,
di imbarazzarsi, di non sapere come comportarsi. Ciò la porta a pensare che
sarà giudicata come stupida, incapace o ridicola.
L’ansia non si manifesta solo prima,
ma anche durante e dopo la situazione sociale temuta.
Dunque anche durante la situazione sociale
temuta l’ansia si manifesta con tutta una serie di sintomi che spesso hanno
l’esito di confermare le aspettative di fallimento temute dal fobico sociale.
L’ansia posticipata, invece, riguarda
la valutazione, quasi sempre negativa, che la persona fa di sè al termine della
prestazione, a causa della focalizzazione dell’attenzione solo sugli aspetti
negativi della prestazione (ho fatto una pessima figura, ho sudato troppo, non
sono riuscito a fare un discorso sensato etc.).
SINTOMI DELLA FOBIA SOCIALE
Sul
versante emotivo si riscontrano:
-Difficoltà
a parlare in pubblico o con estranei.
-Difficoltà
ad interagire con persone estranee.
-Difficoltà
ad essere assertivi.
-Difficoltà
a guardare negli occhi gli interlocutori.
-Ipersensibilità
alla critica, alla valutazione negativa.
-Vergogna
di vergognarsi.
-Timore
che gli altri si accorgano della propria paura.
-Impossibilità
di controllare il terrore e l'ansia provata in contesti sociali.
-Bassa
autostima.
-Evitamento
delle situazioni che causano disagio.
-Ansia
anticipatoria.
-Ansia
durante la situazione sociale temuta.
-Ansia
posticipata.
-Interferenza
dell’ansia provata con le attività quotidiane.
-Paura
delle valutazioni indirette degli altri.
-Scarse
capacità sociali.
Tra
i sintomi fisici della fobia sociale si riscontrano:
-Rossore
sul viso.
-Marcata
sudorazione.
-Sensazione di "testa vuota".
-Tremori
e movimenti involontari.
-Accelerazione
del battito cardiaco.
-Secchezza
delle fauci.
-Vampate
di calore.
-Tensione
muscolare.
-Difficoltà
respiratorie.
-Mal
di stomaco, nausea.
-Mal di
testa.
-Crampi
intestinali e diarrea.
-Alterazione
del tono di voce.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Gli individui con attacchi di panico ed evitamento sociale talvolta presentano un problema diagnostico potenzialmente difficile.
Non si fa’ diagnosi di fobia sociale quando l’unico timore sociale è rappresentato dall’essere visti durante un attacco di panico. Il prototipo della fobia sociale è caratterizzato dall’evitamento di situazioni sociali in assenza di attacchi di panico inaspettati ricorrenti.
Gli individui con attacchi di panico ed evitamento sociale talvolta presentano un problema diagnostico potenzialmente difficile.
Non si fa’ diagnosi di fobia sociale quando l’unico timore sociale è rappresentato dall’essere visti durante un attacco di panico. Il prototipo della fobia sociale è caratterizzato dall’evitamento di situazioni sociali in assenza di attacchi di panico inaspettati ricorrenti.
L’evitamento di situazioni per il
timore di possibili umiliazioni è in primo piano nella fobia sociale, ma può
talvolta manifestarsi nel disturbo di panico con agorafobia e nell’agorafobia
senza anamnesi di disturbo di panico. Le situazioni evitate nella fobia sociale
sono limitate a quelle che implicano l’eventuale giudizio di altre persone.
CURA DELLA FOBIA SOCIALE
La fobia sociale è un disturbo che,
se non adeguatamente trattato, può interferire seriamente con le relazioni
interpersonali, le prestazioni scolastiche e lavorative, determinando un
significativo peggioramento della qualità di vita.
Quando
i sintomi della fobia sociale si ripresentano costantemente, con un'intensità
tale da creare un significativo disagio, è essenziale rivolgersi ad uno
psicologo psicoterapeuta ed intraprendere un trattamento specifico che consenta
di modificare i
pensieri disfunzionali, ed offrire alle persone che soffrono di tale disturbo maggiori
capacità ed abilità nell’affrontare le situazioni temute ed una maggiore
serenità nel rapporto con sé stessi.
Dott.ssa Rita Manzo
mercoledì 29 maggio 2013
GIOCO D'AZZARDO PATOLOGICO: SCOMMETTI CHE TI ROVINI?
Il gioco è bello quando dura poco...
(Anonimo)
Tra le categorie più a rischio ci sono gli adolescenti e gli anziani che presentano un crescente indice di vulnerabilità in relazione alle attività di gioco, con il conseguente rischio di comportamenti di dipendenza, che talvolta sfociano in vere e proprie forme patologiche. Sono a rischio anche coloro che hanno un lavoro saltuario o precario, le donne casalinghe o lavoratrici autonome, che generalmente hanno più tempo libero da impiegare nelle scommesse rispetto ad un lavoratore dipendente. Particolarmente a rischio sono anche le persone che presentano già una storia di abuso da sostanze (alcol e droghe) e coloro che lavorano in contesti in cui c’è un’esposizione a situazioni di gioco o che possono facilmente accedere ad esse.
Il 3% della
popolazione italiana ha un problema di gioco d’azzardo patologico e il mondo
femminile sta diventando sempre più rappresentativo all’interno di questa
popolazione. Se nel 2000 rappresentava il 10% della popolazione dei giocatori,
oggi i dati parlano del 40%.
Il gioco più diffuso tra le donne è il Bingo, molto simile alla Tombola, un luogo dall’aspetto familiare e rassicurante che consente di evadere dalle preoccupazioni quotidiane, da una realtà percepita come insopportabile. E’ proprio questa sorta di anestetizzazione dai problemi ad indurre la dipendenza. Ad essere coinvolte nella patologia del gioco d’azzardo sono in prevalenza le donne “mature” o le casalinghe, spesso motivate a giocare per colmare il senso di noia e solitudine dal quale si sentono pervase.
Il gioco più diffuso tra le donne è il Bingo, molto simile alla Tombola, un luogo dall’aspetto familiare e rassicurante che consente di evadere dalle preoccupazioni quotidiane, da una realtà percepita come insopportabile. E’ proprio questa sorta di anestetizzazione dai problemi ad indurre la dipendenza. Ad essere coinvolte nella patologia del gioco d’azzardo sono in prevalenza le donne “mature” o le casalinghe, spesso motivate a giocare per colmare il senso di noia e solitudine dal quale si sentono pervase.
C’è anche da dire che le donne sono state le prime ad
avvertire gli effetti della crisi economica; molte di esse,
infatti, hanno perso il lavoro, e con esso anche l’indipendenza economica. La conseguenza è un’inevitabile
frustrazione e depressione. Sopraggiunge in tale
contesto il desiderio nella donna di riacquisire la perduta autonomia
monetaria, oppure di risollevare le sorti economiche della famiglia.
Il gioco d’azzardo patologico è una malattia che coinvolge e può portare sofferenza anche al contesto familiare e sociale del giocatore; spesso la vita delle persone che circondano il giocatore patologico viene sconvolta sia sul piano pratico e materiale che su quello affettivo e relazionale. A volte la sofferenza è talmente grande che anche queste persone finiscono per ammalarsi.
Spesso le persone vicine al giocatore si sentono impotenti e non di rado si
colpevolizzano, convinte di essere la causa della malattia del loro caro o che
comunque sia colpa loro se non riescono a farlo smettere di giocare. E’
frequente che i familiari ricerchino delle motivazioni, delle cause alla
malattia, ma questo non aiuta a risolvere il problema. Inoltre i familiari
assumono non di rado un atteggiamento di co-dipendenza poiché da un lato
giustificano il suo giocare d’azzardo e dall’altro controllano la persona e la
sua indipendenza economica attraverso la gestione del denaro di questi. Spesso
ai familiari e agli amici occorre tempo per rendersi conto che è impossibile
controllare il gioco di una persona dipendente, e indurlo a smettere. Ecco
perché la terapia deve agire anche sulla famiglia cercando di modificare quei comportamenti
patologici quasi automatici, che tutti i membri della famiglia assumono, in
funzione della ricerca di nuovi atteggiamenti.
Il gioco d'azzardo patologico, come tutte le dipendenze, è una malattia cronica, che abbisogna pertanto di un intervento terapeutico strutturato.
Il gioco d’azzardo patologico è una malattia che coinvolge e può portare sofferenza anche al contesto familiare e sociale del giocatore; spesso la vita delle persone che circondano il giocatore patologico viene sconvolta sia sul piano pratico e materiale che su quello affettivo e relazionale. A volte la sofferenza è talmente grande che anche queste persone finiscono per ammalarsi.
Il gioco d'azzardo patologico, come tutte le dipendenze, è una malattia cronica, che abbisogna pertanto di un intervento terapeutico strutturato.
Un
aiuto specialistico è fondamentale, ma chi
soffre di ludopatia difficilmente lo riconosce. Il compito dei familiari e
degli amici, che soffrono con il giocatore patologico quando lo scoprono, è
quindi quello di aiutare questa persona
ad affrontare la dipendenza da gioco d’azzardo patologico. Per fare ciò
è necessario un intervento psicologico e psicoterapeutico rivolti all'individuo
e al contesto familiare che talvolta, inconsapevolmente, favorisce l'insorgere
e/o il persistere della patologia. Il
lavoro psicologico è volto ad approfondire la motivazione a guarire del
paziente, le emozioni e i comportamenti connessi al gioco d’azzardo patologico,
puntando soprattutto a scardinare i meccanismi della dipendenza, cercando di
prevenire le ricadute.
I gruppi di auto–aiuto costituiscono un
importante strumento aggiuntivo al trattamento in quanto offrono a persone che
vivono in situazioni simili l'opportunità di condividere le proprie esperienze
e di aiutarsi ad affrontare i problemi comuni.
Anche un
consulente legale può
essere un valido aiuto per il giocatore e la sua famiglia per risanare una
situazione economica spesso compromessa e per fornire un supporto giuridico a
quei giocatori che abbiano commesso illeciti.
Una
dipendenza si sviluppa nell’arco di molti anni e ci vuole spesso un po’ di
tempo per imparare a vivere senza gioco d’azzardo. In quest’ottica le ricadute fanno
spesso parte del percorso terapeutico e non vanno considerate semplicemente
come fallimenti. Dal punto di vista clinico la scivolata, ovvero la ricaduta
sporadica, è un’occasione per far sperimentare e consapevolizzare al paziente
la sua fragilità rispetto all’attività di gioco. Alcuni eventi stressanti come
la difficoltà di affrontare e gestire problemi lavorativi, difficoltà nelle
relazioni familiari, problemi economici e nel pagamento dei debiti, problemi di
salute, possono spingere l’ex giocatore a tornare a giocare d’azzardo.
E’ fondamentale, in caso di ricaduta, che
il giocatore non si lasci sopraffare da sentimenti di fallimento e di incapacità e ne
parli subito con i familiari e con lo psicologo psicoterapeuta, per un pronto
intervento volto a
comprendere e gestire le emozioni legate all’accaduto e per prevenire future
ricadute.
Dott.ssa Rita Manzo
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