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SALVE, SONO LA DOTT.SSA RITA MANZO, PSICOLOGA E PSICOTERAPEUTA SISTEMICO-RELAZIONALE. RICEVO TUTTI I GIORNI PREVIO APPUNTAMENTO TELEFONICO AL NUMERO 3333072104. LO STUDIO SI TROVA A CALVI RISORTA (CE), IN VIA GUGLIELMO MARCONI N.30. SI HA LA POSSIBILITA' DI USUFRUIRE DELLA TERAPIA PSICOLOGICA ANCHE IN MODALITA' ONLINE. SERVIZI OFFERTI: PSICOTERAPIA INDIVIDUALE, DI COPPIA E FAMILIARE, CONSULENZA E SOSTEGNO PSICOLOGICO.

sabato 8 giugno 2013

CHE COS'E' IL GIOCO D'AZZARDO?

Quando parliamo di gioco d'azzardo facciamo riferimento a tutti quei giochi che rispettano le seguenti caratteristiche:
-si scommette del denaro o oggetti di valore;
-la scommessa, una volta giocata, è irreversibile e non può essere ritirata;
-il risultato del gioco dipende dalla fortuna, ovvero dal caso, l’abilità del giocatore conta poco o niente perché è impossibile controllare o prevedere l’esito degli eventi.
Quindi giochi d’azzardo ogni volta che rischi soldi oppure oggetti di valore in un gioco che ti da la possibilità di vincere più di quanto hai scommesso, ma il cui esito è incerto.

I giochi d’azzardo più diffusi sono:
-gratta e vinci
-biglietti delle lotterie
-slot machine
-tutti i giochi del casinò
-giochi di carte (poker, blackjack…)
-win for life
-bingo
-corse
-scommesse sportive e schedine
-lotto – superenalotto
-dadi
-giochi a soldi in internet


Sono molti i motivi che possono spingere le persone a giocare d’azzardo: semplice divertimento, eccitazione del rischio, contrastare la depressione, evadere dalla routine, vincere denaro e migliorare la propria situazione finanziaria, cambiare vita, stare in compagnia, sognare una vita migliore...
Il gioco d’azzardo non sempre è pericoloso, molte persone giocano in modo responsabile. Tuttavia diventa un problema quando da passatempo diventa dipendenza. In questo caso il giocatore manifesta un persistente bisogno di giocare aumentando in modo progressivo il tempo e il denaro impegnati nel gioco, fino a condizionare in modo significativo gli altri ambiti della propria vita (la famiglia, il lavoro, il tempo libero), a investire al di sopra delle proprie possibilità economiche e a trascurare i quotidiani impegni della vita.
                                                 Dott.ssa Rita Manzo

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venerdì 31 maggio 2013

FOBIA SOCIALE: ESORDIO, SINTOMI E CURA


La  fobia (o ansia) sociale è un’eccessiva ansia nei confronti di tutte quelle situazioni in cui si è esposti pubblicamente. Chi soffre di ansia sociale ha il timore che tutto ciò che fa o dice possa essere sbagliato ed essere giudicato dalle persone che lo osservano.
Tale disturbo causa un impoverimento della vita dell’individuo, il quale spesso vive una vita ritirata, con poche amicizie e occasioni di svago; può compromettere la carriera scolastica e lavorativa con conseguente danno per l’immagine e l’autostima.

ESORDIO E DIFFUSIONE NELLA POPOLAZIONE
La fobia sociale è un disturbo diffusissimo che esordisce principalmente nell’adolescenza e talvolta emerge da una storia infantile di inibizione. L’esordio può seguire in modo brusco un’esperienza stressante, oppure può essere insidioso. 
Le donne hanno maggiori probabilità di soffrirne rispetto agli uomini, anche se questi ultimi tendono a sviluppare forme più gravi della malattia.
La fobia sociale, una volta instaurata, non si risolve quasi mai spontaneamente, ma tende a mantenersi in modo cronico se non trattata, peggiorando via via nel corso della vita e dando luogo spesso ad altri disturbi come la depressione. 
Nelle situazioni sociali o prestazionali temute, la persona che soffre di fobia sociale è preoccupata di provare imbarazzo ed ha paura che gli altri possano giudicarla ansiosa o stupida. Le situazioni più temute da chi soffre di fobia sociale sono quelle che implicano la necessità di dover fare qualcosa davanti ad altre persone, come ad esempio esporre una relazione o anche solo firmare, telefonare, andare alle feste, guardare negli occhi la gente, fare o accettare complimenti, parlare con persone di autorità, esprimere le proprie opinioni mangiare o bere davanti ad altre persone … .
Di solito, soprattutto se il disagio sociale che si è vissuto è forte, la persona evita le situazioni temute per la paura di comportarsi in modo “sbagliato” e poter essere mal giudicato, oppure si sforza di sopportare la situazione sociale, vivendola però con ansia. Questa paura può portare chi ne soffre ad evitare la maggior parte delle situazioni sociali.
L’individuo riconosce l’irragionevolezza della paura, tuttavia non riesce a controllarla e dunque tende spesso ad auto-accusarsi e rimproverarsi per non riuscire a fare cose che tutti fanno.
Un'altra caratteristica tipica di questo disturbo è una marcata ansia che precede le situazioni temute chiamata ansia anticipatoria. Già prima di affrontare una situazione sociale la persona con fobia sociale comincia ad esperire ansia per tale evento, perché preoccupata o convinta di non essere all’altezza, di imbarazzarsi, di non sapere come comportarsi. Ciò la porta a pensare che sarà giudicata come stupida, incapace o ridicola.
L’ansia non si manifesta solo prima, ma anche durante e dopo la situazione sociale temuta.
Dunque anche durante la situazione sociale temuta l’ansia si manifesta con tutta una serie di sintomi che spesso hanno l’esito di confermare le aspettative di fallimento temute dal fobico sociale.
L’ansia posticipata, invece, riguarda la valutazione, quasi sempre negativa, che la persona fa di sè al termine della prestazione, a causa della focalizzazione dell’attenzione solo sugli aspetti negativi della prestazione (ho fatto una pessima figura, ho sudato troppo, non sono riuscito a fare un discorso sensato etc.).

SINTOMI DELLA FOBIA SOCIALE  

I sintomi della fobia sociale possono essere sia di natura emotiva che di natura fisica.

Sul versante emotivo si riscontrano:
-Difficoltà a parlare in pubblico o con estranei.
-Difficoltà ad interagire con persone estranee.
-Difficoltà ad essere assertivi.
-Difficoltà a guardare negli occhi gli interlocutori.
-Ipersensibilità alla critica, alla valutazione negativa.
-Vergogna di vergognarsi.
-Timore che gli altri si accorgano della propria paura.
-Impossibilità di controllare il terrore e l'ansia provata in contesti sociali.
-Bassa autostima.
-Evitamento delle situazioni che causano disagio.
-Ansia anticipatoria.
-Ansia durante la situazione sociale temuta.
-Ansia posticipata.
-Interferenza dell’ansia provata con le attività quotidiane.
-Paura delle valutazioni indirette degli altri.
-Scarse capacità sociali.

Tra i sintomi fisici della fobia sociale si riscontrano:
-Rossore sul viso.
-Marcata sudorazione.
-Sensazione di "testa vuota".
-Tremori e movimenti involontari.
-Accelerazione del battito cardiaco.
-Secchezza delle fauci.
-Vampate di calore.
-Tensione muscolare.
-Difficoltà respiratorie.
-Mal di stomaco, nausea.
-Mal di testa.
-Crampi intestinali e diarrea.
-Alterazione del tono di voce.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Gli individui con attacchi di panico ed evitamento sociale talvolta presentano un problema diagnostico potenzialmente difficile. 
Non si fa’ diagnosi di fobia sociale quando l’unico timore sociale è rappresentato dall’essere visti durante un attacco di panico. Il prototipo della fobia sociale è caratterizzato dall’evitamento di situazioni sociali in assenza di attacchi di panico inaspettati ricorrenti.
L’evitamento di situazioni per il timore di possibili umiliazioni è in primo piano nella fobia sociale, ma può talvolta manifestarsi nel disturbo di panico con agorafobia e nell’agorafobia senza anamnesi di disturbo di panico. Le situazioni evitate nella fobia sociale sono limitate a quelle che implicano l’eventuale giudizio di altre persone.

CURA DELLA FOBIA SOCIALE       
La fobia sociale è un disturbo che, se non adeguatamente trattato, può interferire seriamente con le relazioni interpersonali, le prestazioni scolastiche e lavorative, determinando un significativo peggioramento della qualità di vita.
Quando i sintomi della fobia sociale si ripresentano costantemente, con un'intensità tale da creare un significativo disagio, è essenziale rivolgersi ad uno psicologo psicoterapeuta ed intraprendere un trattamento specifico che consenta di modificare i pensieri disfunzionali, ed offrire alle persone che soffrono di tale disturbo maggiori capacità ed abilità nell’affrontare le situazioni temute ed una maggiore serenità nel rapporto con sé stessi.
                                                  Dott.ssa Rita Manzo




mercoledì 29 maggio 2013

GIOCO D'AZZARDO PATOLOGICO: SCOMMETTI CHE TI ROVINI?


Il gioco è bello quando dura poco...
(Anonimo)

Negli ultimi anni il gioco d’azzardo e’ aumentato moltissimo, e la patologia connessa (gap) e’ stata riconosciuta come malattia anche dal ministero della sanita’.  Il gioco d’azzardo patologico è in aumento principalmente perché oggi rispetto al passato vi è una maggiore facilità di accesso ai giochi d'azzardo, una maggiore diversificazione delle tipologie di gioco, una moltiplicazione degli spazi in cui è possibile giocare e una sollecitazione sensoriale mediatica sempre più vasta che propina alle persone come con pochi euro sia possibile dare finalmente una svolta alla propria vita. Certamente la crisi economica riveste un ruolo importante nell’aumento del gioco d’azzardo. E’ soprattutto in tempi di crisi che prende piede l’illusione di vincere “facile”, di poter risolvere i propri problemi finanziari e cambiare vita col gioco d’azzardo, correndo così il rischio di sviluppare una dipendenza.
Tra le categorie più a rischio ci sono gli adolescenti e gli anziani che presentano un crescente indice di vulnerabilità in relazione alle attività di gioco, con il conseguente rischio di comportamenti di dipendenza, che talvolta sfociano in vere e proprie forme patologiche. Sono a rischio anche coloro che hanno un lavoro saltuario o precario, le donne casalinghe o lavoratrici autonome, che generalmente hanno più tempo libero da impiegare nelle scommesse rispetto ad un lavoratore dipendente. Particolarmente a rischio sono anche le persone che presentano già una storia di abuso da sostanze (alcol e droghe) e coloro che lavorano in contesti in cui c’è un’esposizione a situazioni di gioco o che possono facilmente accedere ad esse.
Il 3% della popolazione italiana ha un problema di gioco d’azzardo patologico e il mondo femminile sta diventando sempre più rappresentativo all’interno di questa popolazione. Se nel 2000 rappresentava il 10% della popolazione dei giocatori, oggi i dati parlano del 40%. 
Il gioco più diffuso tra le donne è il Bingo, molto simile alla Tombola, un luogo dall’aspetto familiare e rassicurante che consente di evadere dalle preoccupazioni quotidiane, da una realtà percepita come insopportabile. E’ proprio questa sorta di anestetizzazione dai problemi ad indurre la dipendenza. Ad essere coinvolte nella patologia del gioco d’azzardo sono in prevalenza le donne “mature” o le casalinghe, spesso motivate a giocare per colmare il senso di noia e solitudine dal quale si sentono pervase.
C’è anche da dire che le donne sono state le prime ad avvertire gli effetti della crisi economica; molte di esse, infatti, hanno perso il lavoro, e con esso anche l’indipendenza economica. La conseguenza è un’inevitabile frustrazione e depressione. Sopraggiunge in tale contesto il desiderio nella donna di riacquisire la perduta autonomia monetaria, oppure di risollevare le sorti economiche della famiglia.
Il gioco d’azzardo patologico è una malattia che coinvolge e può portare sofferenza anche al contesto familiare e sociale del giocatore; spesso la vita delle persone che circondano il giocatore patologico viene sconvolta sia sul piano pratico e materiale che su quello affettivo e relazionale. A volte la sofferenza è talmente grande che anche queste persone finiscono per ammalarsi. 
Spesso le persone vicine al giocatore si sentono impotenti e non di rado si colpevolizzano, convinte di essere la causa della malattia del loro caro o che comunque sia colpa loro se non riescono a farlo smettere di giocare. E’ frequente che i familiari ricerchino delle motivazioni, delle cause alla malattia, ma questo non aiuta a risolvere il problema. Inoltre i familiari assumono non di rado un atteggiamento di co-dipendenza poiché da un lato giustificano il suo giocare d’azzardo e dall’altro controllano la persona e la sua indipendenza economica attraverso la gestione del denaro di questi. Spesso ai familiari e agli amici occorre tempo per rendersi conto che è impossibile controllare il gioco di una persona dipendente, e indurlo a smettere. Ecco perché la terapia deve agire anche sulla famiglia cercando di modificare quei comportamenti patologici quasi automatici, che tutti i membri della famiglia assumono, in funzione della ricerca di nuovi atteggiamenti.
Il gioco d'azzardo patologico, come tutte le dipendenze, è una malattia cronica, che abbisogna pertanto di un intervento terapeutico strutturato.
Un aiuto specialistico è fondamentale, ma chi soffre di ludopatia difficilmente lo riconosce. Il compito dei familiari e degli amici, che soffrono con il giocatore patologico quando lo scoprono, è quindi quello di aiutare questa persona  ad affrontare la dipendenza da gioco d’azzardo patologico. Per fare ciò è necessario un intervento psicologico e psicoterapeutico rivolti all'individuo e al contesto familiare che talvolta, inconsapevolmente, favorisce l'insorgere e/o il persistere della patologia. Il lavoro psicologico è volto ad approfondire la motivazione a guarire del paziente, le emozioni e i comportamenti connessi al gioco d’azzardo patologico, puntando soprattutto a scardinare i meccanismi della dipendenza, cercando di prevenire le ricadute.
I gruppi di auto–aiuto costituiscono un importante strumento aggiuntivo al trattamento in quanto offrono a persone che vivono in situazioni simili l'opportunità di condividere le proprie esperienze e di aiutarsi ad affrontare i problemi comuni.
Anche un consulente legale può essere un valido aiuto per il giocatore e la sua famiglia per risanare una situazione economica spesso compromessa e per fornire un supporto giuridico a quei giocatori che abbiano commesso illeciti.
Una dipendenza si sviluppa nell’arco di molti anni e ci vuole spesso un po’ di tempo per imparare a vivere senza gioco d’azzardo. In quest’ottica le ricadute fanno spesso parte del percorso terapeutico e non vanno considerate semplicemente come fallimenti. Dal punto di vista clinico la scivolata, ovvero la ricaduta sporadica, è un’occasione per far sperimentare e consapevolizzare al paziente la sua fragilità rispetto all’attività di gioco. Alcuni eventi stressanti come la difficoltà di affrontare e gestire problemi lavorativi, difficoltà nelle relazioni familiari, problemi economici e nel pagamento dei debiti, problemi di salute, possono spingere l’ex giocatore a tornare a giocare d’azzardo.
E’ fondamentale, in caso di ricaduta, che il giocatore non si lasci sopraffare da sentimenti di fallimento e di incapacità e ne parli subito con i familiari e con lo psicologo psicoterapeuta, per un pronto intervento volto a comprendere e gestire le emozioni legate all’accaduto e per prevenire future ricadute.
                                      Dott.ssa Rita Manzo


martedì 28 maggio 2013

CHE COS'E' LA FOBIA SOCIALE (ANSIA SOCIALE)?


La fobia sociale, chiamata anche ansia sociale, è caratterizzata da una eccessiva ansia suscitata da situazioni che potrebbero implicare l’essere sottoposti al giudizio di altre persone, o anche semplicemente essere esposti alla loro presenza.
La persona che soffre di ansia sociale prova un forte disagio quando partecipa a situazioni sociali (feste, gruppi, locali pubblici) o deve svolgere attività a contatto con altre persone (parlare in pubblico, parlare ad uno sconosciuto, lavorare davanti ad altre persone).

Secondo il DSM-IV-TR, i Criteri Diagnostici per la Fobia Sociale sono i seguenti:
  1. Paura marcata e persistente di una o più situazioni sociali o prestazionali nelle quali la persona è esposta a persone non familiari o al possibile giudizio degli altri. L’individuo teme di agire (o di mostrare sintomi di ansia) in modo umiliante o imbarazzante. Nota: Nei bambini deve essere evidente la capacità di stabilire rapporti sociali appropriati all’età con persone familiari e l’ansia deve manifestarsi con i coetanei, e non solo nell’interazione con gli adulti.
  2. L’esposizione alla situazione temuta quasi invariabilmente provoca l’ansia, che può assumere le caratteristiche di un Attacco di Panico causato dalla situazione o sensibile alla situazione.
    Nota: Nei bambini, l’ansia può essere espressa piangendo, con scoppi di ira, con l’irrigidimento, o con l’evitamento delle situazioni sociali con persone non familiari.
  3. La persona riconosce che la paura è eccessiva o irragionevole.
    Nota: Nei bambini questa caratteristica può essere assente.
  4. Le situazioni sociali o prestazionali temute sono evitate o sopportate con intensa ansia o disagio.
  5. L’evitamento, l’ansia anticipatoria o il disagio nella/e situazione/i sociale/i o prestazionale/i interferiscono significativamente con le abitudini normali della persona, con il funzionamento lavorativo (scolastico) o con le attività o relazioni sociali, oppure è presente marcato disagio per il fatto di avere la fobia.
  6. Negli individui al di sotto dei 18 anni la durata è di almeno 6 mesi.
  7. La paura o l’evitamento non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale, e non sono meglio giustificati da un altro disturbo mentale (per es., Disturbo di Panico Con Agorafobia o Senza Agorafobia, Disturbo d’Ansia di Separazione,Disturbo da Dismorfismo Corporeo, un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo o il Disturbo Schizoide di Personalità).
  8. Se sono presenti una condizione medica generale o un altro disturbo mentale, la paura di cui al Criterio A non è ad essi correlabile, per es., la paura non riguarda la Balbuzie, il tremore nella malattia di Parkinson o il mostrare un comportamento alimentare abnorme nell’Anoressia Nervosa o nella Bulimia Nervosa.
Specificare se:
     Generalizzata: se le paure includono la maggior parte delle situazioni sociali (prendere in considerazione anche la diagnosi addizionale di Disturbo Evitante di Personalità).

La fobia sociale dunque può essere specifica o generalizzata.
- E’ specifica quando la persona teme solo una o poche tipologie di situazioni (ad esempio è incapace di parlare in pubblico, ma non ha problemi in altre situazioni sociali come partecipare ad una festa o parlare con uno sconosciuto);
- E’ generalizzata quando la persona teme pressoché tutte le situazioni sociali. Nelle forme più gravi e pervasive, si tende a preferire la diagnosi di Disturbo Evitante di Personalità.
La fobia di tipo generalizzata ha maggiore comorbilità con altri disturbi tipo la depressione e l’abuso di alcol, ed ha più effetti negativi sulle attività sociali e lavorative del soggetto.

                                      Dott.ssa Rita Manzo


giovedì 4 aprile 2013

IPOCONDRIA: CAUSE E TRATTAMENTO

CAUSE DELL’IPOCONDRIA
L’ipocondria, ovvero la preoccupazione legata alla paura di avere una malattia grave in seguito ad una erronea interpretazione di sintomi somatici, può essere determinata da varie cause:
- fattori psico-sociali stressanti, come ad esempio la malattia (soprattutto  tumore o patologie cardiache o cerebrali) e/o la morte di una persona vicina al paziente, che gli fa temere che la stessa cosa accada anche a lui.
- eccessiva preoccupazione da parte dei familiari per la salute del paziente fin dalla prima infanzia, generando in quest’ultimo un’immagine mentale di sé come persona debole e soggetta a problemi di salute, e la paura costante che nel proprio corpo qualcosa non funzioni a dovere.
- presenza di angoscia che la psiche della persona non è in grado di elaborare sul piano mentale, e che sposta quindi sul piano corporeo per renderla gestibile con modalità concrete. In sostanza in presenza di situazioni stressanti e sgradevoli, il soggetto manifesta le proprie emozioni attraverso il corpo, con sintomi fisici quali cefalea, gastrite, colite che prendono il posto di emozioni come la rabbia e il dolore. Questi sono sintomi fastidiosi e persistenti che non hanno ovviamente cause mediche ma che preoccupano molto chi ne è colpito, generando in lui l’idea di avere una patologia grave.

LE SOLUZIONI TENTATE DAI PAZIENTI
                    

I soggetti ipocondriaci mettono in atto una serie di comportamenti atti ad alleviare le proprie sofferenze e paure. Tra questi, innanzitutto la ricerca costante di rassicurazione da parte soprattutto di medici, familiari ed amici; ma anche il continuo controllo di eventuali segnali inviati dal proprio corpo. Questi comportamenti tendono a ripetersi e perpetuarsi nel tempo perché, nel breve termine, riducono l’ansia del soggetto. Nel lungo periodo, però, tali comportamenti risultano essere disadattavi mantenendo in vita il disturbo per vari motivi:
- Più tempo il soggetto passa discutendo della propria salute, maggiore è la quantità di informazioni che raccoglierà circa eventuali condizioni mediche gravi e, di conseguenza, maggiore sarà la sua preoccupazione. Ad aggravare la situazione di chi presenta questo disturbo oggi, è la possibilità di ottenere notizie e consulenze on-line, mediante internet, ciò offre a queste persone un’ulteriore formidabile opportunità di consultare in tempo reale specialisti on line.
- Più i soggetti ipocondriaci chiedono aiuto e rassicurazione agli altri significativi e più rinforzano l’idea di sé stessi come persone deboli, vulnerabili, fragili e bisognose degli altri.
- Chiedere rassicurazione ai propri medici circa l’essere o meno affetti da una determinata patologia, espone a maggiore rischio di subire procedure diagnostiche, spesso non necessarie, che acutizzano l’ansia. E’ evidente che ogni intervento medico, che sia  diagnostico o farmacologico, conferma lo stato di presunta malattia del soggetto, funzionando così da ulteriore tentata soluzione che invece di risolvere , complica ulteriormente il problema.
- Non poter dare al paziente l’assoluta certezza dell’assenza del disturbo lascia al paziente spazio per dubitare dell’accuratezza della diagnosi medica. L’impossibilità di ottenere una diagnosi sicura al 100% non fa altro che alimentare la necessità di cercarla.

IL TRATTAMENTO PSICOLOGICO DELL’IPOCONDRIA
Una volta esclusa qualunque condizione medica che possa spiegare pienamente i segni o i sintomi fisici manifestati, il trattamento d’elezione è la psicoterapia, che viene effettuata da uno psicologo specializzato in psicoterapia. 
L’ipocondriaco non è  un “malato immaginario” né tanto meno si inventa sintomi e malesseri: chi soffre di questo disturbo si sente realmente male, e il suo problema consiste unicamente nella difficoltà di accettare che il disagio è prodotto dalla sua mente e non ha altre spiegazioni. E’ molto importante che il paziente si senta compreso e avverta che i suoi problemi e le sue preoccupazioni sono stati considerati in maniera appropriata. Il terapeuta non dovrebbe mai dimenticare di riconoscere al paziente che i sintomi che egli sperimenta sono reali e devono essere presi sul serio. Questi pazienti, infatti, si sono sentiti ripetere probabilmente per lungo tempo che i loro sintomi sono “tutti nella mente” quando, in verità, i sintomi che sperimentano sono assolutamente reali.
E’ difficile che l’ipocondriaco si renda conto della precisa natura del proprio problema con una tale chiarezza da abbandonare la vana ricerca di un oscuro male fisico per affidarsi con convinzione ad uno psicologo. Anche chi sospetta che il proprio malessere sia di natura completamente psicologica fatica ad abbandonare la trafila di visite ed esami medici alla quale si sottopone abitualmente quando inizia una psicoterapia. In un primo momento quindi è realistico pensare che la persona non abbandoni del tutto il dubbio di soffrire di un male fisico, e il trattamento psicoterapeutico avverrà con tutta probabilità mentre il paziente è ancora alla ricerca di una spiegazione medica per i propri disturbi. La conquista della convinzione della natura psicologica del malessere infatti costituisce un obiettivo terapeutico che sarà raggiunto solo in un secondo momento . Ciò che conta quindi non è che la persona smetta subito di sottoporsi agli accertamenti, che sono per lei funzionali, ma che arrivi a non eseguirne più dopo aver lavorato sulle cause del problema. La paura patologica, proprio in quanto costruzione della mente, può essere destrutturata e superata grazie all’aiuto di uno psicologo psicoterapeuta. 
Per poter accettare e iniziare un percorso terapeutico è indispensabile  una profonda motivazione al cambiamento, che può trovare energia nella propria sofferenza ma anche nella presa di coscienza del dolore e del disagio che la propria condizione procura alle persone amate.
Quando la psicoterapia non è praticabile o la gravità del quadro clinico lo richiede è utile il ricorso alla farmacoterapia, solitamente con la somministrazione di antidepressivi, ammesso che la persona accetti di prendere dei farmaci senza temere che arrechino dei danni al proprio organismo.
Il disturbo ipocondriaco, se non adeguatamente trattato mediante un intervento psicoterapeutico ed eventualmente farmacologico, tende a mantenersi nel tempo, portando ad un deterioramento della qualità della vita del soggetto.
                                         Dott.ssa Rita Manzo

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mercoledì 3 aprile 2013

PAURA DI AVERE UNA MALATTIA (IPOCONDRIA)

Il termine ipocondria si riferisce alla preoccupazione  dovuta alla convinzione di avere una malattia grave. Tale convinzione del soggetto si basa sulla errata interpretazione dei segnali corporei o dei propri sintomi fisici, per cui ad esempio un piccolo dolore al petto o al braccio sinistro viene immediatamente considerato come un principio di infarto. La convinzione erronea persiste nonostante un’accurata valutazione medica escluda la presenza di una condizione di patologia tale da giustificare la preoccupazione ipocondriaca. Le preoccupazioni possono riguardare numerosi apparati, in momenti diversi o simultaneamente e spesso diventano un elemento centrale dell’immagine di sé, un modo di rispondere agli stress di vita.
I criteri diagnostici per l’Ipocondria secondo il DSM-IV-TR sono i seguenti:
  1. La preoccupazione legata alla paura di avere, oppure alla convinzione di avere, una malattia grave, basate sulla erronea interpretazione di sintomi somatici da parte del soggetto.
  2. La preoccupazione persiste nonostante la valutazione e la rassicurazione medica appropriate.
  3. La convinzione di cui al Criterio A non risulta di intensità delirante (come nel Disturbo Delirante, Tipo Somatico) e non è limitata a una preoccupazione circoscritta all’aspetto fisico (come nel Disturbo di Dismorfismo Corporeo).
  4. La preoccupazione causa disagio clinicamente significativo oppure menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo, o in altre aree importanti.
  5. La durata dell’alterazione è di almeno 6 mesi.
  6. La preoccupazione non è meglio attribuibile a Disturbo d’Ansia Generalizzato , Disturbo Ossessivo-Compulsivo,Disturbo di Panico (Senza Agorafobia e Con Agorafobia),Episodio Depressivo Maggiore, Ansia di Separazione., o un altro Disturbo Somatoforme.
Specificare se:
     Con Scarso Insight: se, per la maggior parte del tempo durante l’episodio in atto, la persona non è in grado di riconoscere che la preoccupazione di avere una malattia grave è eccessiva o irragionevole.
I soggetti ipocondriaci sono molto più sensibili e attenti ai segnali corporei dei soggetti non ipocondriaci . Spesso si oppongono all’ipotesi di soffrire di un disturbo psicologico ed effettuano tipicamente un vero e proprio pellegrinaggio fra medici ed esami clinici che non rilevano alcun serio disturbo, cadendo a volte nella rete di ciarlatani che si propongono di risolvere il problema con metodi non certo scientifici, ma altamente suggestivi e potenzialmente capaci di catalizzare le speranze di persone sempre più angosciate dalla presenza di un “male oscuro” che nessuno sembra in grado di comprendere né di combattere.
Naturalmente affinchè si possa parlare di ipocondria, una valutazione medica completa deve avere escluso qualunque condizione medica generale che possa spiegare pienamente i suoi segni o sintomi fisici (per quanto possa talora essere presente una condizione medica generale concomitante).
Il disturbo può esordire a qualunque età, ma si riscontra più comunemente nella prima metà dell’età adulta ed è equamente distribuito tra maschi e femmine. E' sconosciuta la percentuale di diffusione del disturbo nella popolazione generale, ma nella pratica psicologica generale va dal 4 al 9%.
Tipicamente insorge durante periodi di intenso stress, durante o dopo una grave malattia oppure dopo la perdita di un familiare. Il decorso è di solito cronico, persiste per anni nel 50% dei casi, con sintomi che vanno e vengono, e presenta una comorbidità con disturbi d’ansia, disturbi dell’umore e disturbi somatoformi. L’ipocondriaco evita gradualmente tutte le situazioni che potrebbero costituire una minaccia alla propria salute, sviluppando a volte anche un Disturbo Ossessivo-Compulsivo organizzato attorno all’evitamento di tutto ciò che considera patogeno e alla costruzione di rituali che gli consentano di scongiurare l’esordio di ulteriori malattie.
L'ipocondriaco non è un "malato immaginario", ma una persona che manifesta con molteplici sintomi corporei un reale disagio psicologico che deve essere riconosciuto e adeguatamente curato. L’ipocondriaco avverte realmente tutta la sintomatologia di una determinata patologia, perché è talmente sensibilizzato all’ascolto del corpo che la sua soglia del dolore si abbassa e quindi percepisce il dolore con maggiore intensità. Inoltre, la costante paura di ammalarsi associata al rimugino sulla malattia, costituisce di per sé una forma di autosuggestione che, in alcuni casi, può portare a somatizzare i sintomi della malattia in questione innescando un circuito di comunicazione fra psiche  e soma che predispone all’insorgenza di malattie.
Dunque quando il disturbo si protrae nel tempo si osservano delle reali somatizzazioni, effetto del continuo stress da ansia elevata a cui il soggetto sottopone il proprio organismo.
I soggetti con ipocondria possono allarmarsi se leggono o sentono parlare di una malattia, se vengono a sapere che qualcuno si è ammalato, o a causa di osservazioni, sensazioni, o eventi che riguardano il loro corpo. 
Talvolta i pazienti ipocondriaci adottano uno stile di vita simile a quello di un malato cronico o di un invalido ed evitano attività che richiedono degli sforzi nel timore che questo possa nuocere alla loro salute. Soffrono molto e si lamentano della propria salute parlandone lungamente con chiunque li ascolti. Queste modalità d’interazione con gli altri conducono spesso il paziente ipocondriaco ad un progressivo logorio delle relazioni interpersonali, sia al di fuori che all’interno del nucleo familiare.
A volte l’intera vita familiare è condizionata da questo problema che diviene determinante nelle scelte relative a molte attività dei familiari. L’ipocondriaco assume così un ruolo centrale all’interno della famiglia e ciò gli consente involontariamente di ottenere attenzione e considerazione che non ha potuto ottenere altrimenti; ciò costituisce il cosiddetto “vantaggio secondario” della malattia, che costituisce uno degli ostacoli principali alla guarigione, per quanto il paziente non si renda conto di questo né l’abbia deliberatamente provocato o ricercato.
In assenza di un’adeguata terapia psicologica, il quadro clinico può evolvere in senso peggiorativo sia per l’insorgenza di nuovi disturbi, sia per la comparsa di ulteriori pensieri ossessivi riguardanti la salute fisica.
 Dott.ssa Rita Manzo
Psicologa, Psicoterapeuta Sistemico-Relazionale 
Se hai bisogno di una consulenza puoi contattarmi al numero 3333072104